Breve storia della canapa nelle Marche e nel Piceno

(a cura della Dott.ssa Monica Ferri)


"La canapa figura degnamente tra le piante erbacee la cui coltivazione viene da secoli praticata nell'ascolano: alcuni Comuni, anzi, sono di antichissima tradizione canapicola, specialmente quelli dell'ex circondano di Ascoli e, in modo particolare, il capoluogo. La fibra della canapa di Ascoli è considerata di qualità pregiata adatta alla fabbricazione di tessuti casalinghi e di alta moda, nonché di tessuti per ammobiliamento e tendaggi. Nell'ascolano la canapa ha inoltre il merito di aver fatto sorgere e sviluppare, già nello scorso secolo, l'industria delle corde e delle reti da pesca nella vicina San Benedetto del Tronto."
Così Daniele Dionisi, direttore della sezione ascolana dell'Ente Fibre Tessili, illustra l'importanza della coltivazione della canapa in un opuscolo del 1951. Le origini della canapicoltura nel Piceno si perdono nel tempo: viene nominata già dalla fine del XIII secolo nelle cronache e negli studi basati sulle informazioni, seppure indirette, contenute negli Statuti Comunali. Da questi ultimi risulta tra il XV ed il XVI sec., che la valle del Tronto costituisce nelle Marche il maggiore polo di coltivazione della canapa (pari solo a quello dell'area di Fiuminata, Mc) con sistemi già attivi di coltivazione.
Nel XVI sec. si assiste nel Piceno ad un cambiamento radicale del paesaggio agrario: cominciano a diffondersi i contratti di mezzadria ed il podere è la nuova struttura produttiva, tendente all'autosufficienza e pertanto caratterizzata dalla policoltura. Anche le grandi vicende politiche europee favoriscono le coltivazioni da fibra come la canapa ed il lino. Durante il Regno italico napoleonico, infatti, si pone la necessità di sopperire alla mancanza, a causa del blocco continentale, del cotone straniero. Nel XIX sec. con la riapertura ai commerci, la coltivazione della canapa aumenta anche a scapito del lino marchigiano, che non regge ai concorrenziali prezzi dei filati stranieri.
Nelle Marche. come del resto in Italia il Settecento segna il perfezionamento della policoltura poderale: la crescita dei prezzi dei cereali e la diffusione della coltura del mais, l'incremento demografico e la costituzione di famiglie contadine polinucleari, da una parte inducono, con il disboscamento e le bonifiche di valle, ad una estensione della superficie agraria, dall'altra permettono l'introduzione di colture come la canapa, determinando un significativo ampliamento della gamma di attività economiche del podere. In ciascun podere viene coltivata la canapa, destinata ad usi prevalentemente tessili, e che i coloni curano in tutte le fasi di lavorazione, dalla semina alla tessitura nei telai casalinghi. In una ricerca del 1892 sulle Condizioni industriali della Provincia di Ascoli Piceno, nella sezione dedicata alla "industria tessile casalinga", risultano nel circondario di Ascoli ben 1252 telai per lino e canapa, di cui oltre 700 solo nei paesi della valle del Tronto. E' proprio nell'Ottocento che la canapa diventa, nel circondario di Ascoli, una delle principali colture, assieme al frumento ed al granoturco.
Isaia Baldrati nel 1901, in un opuscolo agronomico dedicato alla canapa, afferma che "di tutte le colture ascolane la canapa è la meglio seguita".
All'inizio del secolo si assiste nel Piceno ad un costante incremento della produzione di canapa fino al 1925, anno dopo il quale, nonostante la favorevole politica fascista, è destinata a diminuire. Il fascismo istituisce l'Ente Economico Fibre Tessili per diffondere e promuovere la coltivazione della canapa. In un opuscolo di G. Consolani leggiamo: "La canapa è stata posta dal Duce all'ordine del giorno della Nazione, perchè per eccellenza autarchica e destinata ad emanciparci quanto più possibile dal gravoso tributo che abbiamo ancora verso l'estero nel settore delle fibre tessili.. Non è - ripetiamo - il solo lato economico agrario; c'è anche il lato sociale la cui incidenza non potrebbe essere posta meglio in luce che dalla seguente cifra: 30 mila operai circa ai quali dà lavoro l'industria canapiera italiana".
L'opuscolo è volto sostanzialmente a convincere gli agricoltori non forniti di apparecchiature e di manodopera per la macerazione, a coltivare comunque la canapa, finalizzandola alla produzione dello stigliato verde da sacchi.
Nel 1951, ci informa Daniele Dionisi, "la superficie investita a canapa nella provincia di Ascoli, compresa quella dei numerosi piccoli appezzamenti di terreno destinati alla produzione di fibra per uso familiare ed aziendale, si aggira sui 500 ettari. Le aziende che producono canapa per la vendita sono circa 300".
Da questo momento in poi, nell'ascolano come in tutta Italia, si assiste ad una costante diminuzione della coltivazione della canapa. Questo fenomeno non è dovuto soltanto alla concorrenza delle fibre sintetiche, ma al giusto rifiuto degli operai agricoli di lavorare nelle maleodoranti vasche di macerazione nell'anacronistica pratica dell'estrazione della fibra. Contribuisce alla crisi della canapa anche il fatto di non aver saputo trovare in tempo un sistema di macerazione industriale.
La canapa scompare anche nelle Marche, come coltura da pieno campo, al principio degli anni '70, a causa della erronea interpretazione di una legge che proibisce la coltivazione della Cannabis, per ragioni preventive in merito all'uso di sostanze stupefacenti. Tutto questo quando, paradossalmente, l'Unione Europea ha stabilito, fin dal '71, che possono beneficiare dell'aiuto economico le varietà di canapa il cui contenuto in THC (cioè il principio attivo allucinogeno) non superi lo 0,3% (art. 3, par. 1 regolamento CEE 619/71 e successiva modifica dell'art. 1 regolamento CEE 2059/84).
Il Decreto Ministeriale del 2 dicembre 1997, permette la reintroduzione della canapa in Italia come coltura industriale; finalmente nella primavera del '98, con enorme interesse degli operatori agricoli locali, la coop. Humus fa riapparire la canapa negli ordinamenti colturali del Piceno e delle Marche.