QUASI QUASI MI FACCIO UNA CANAPA

Può essere usata nel tessile, nella produzione di energia, nella medicina. Per questo, in un centro di Bologna, hanno selezionato un nuovo tipo di cannabis. Che non fa sballare.
Di Cristiano Borton



Indossa il camice bianco, tipico degli uomini di scienza, ma non ha certo l'aria né le maniere formali del topo di laboratorio. D'altra parte quello diretto da Gianpaolo Grassi, alla periferia di Bologna, è un laboratorio quanto meno singolare. Di per sé il nome, in tipico burocratese, Istituto sperimentale per le colture industriali (dipendente dal ministero dell'Agricoltura), dice ben poco. In realtà, lì dentro si trascorrono le giornate a passare al microscopio la canapa. Ogni genere di canapa. In altre parole, Grassi guida il centro di ricerca della marijuana di Stato. Obiettivo: distinguere una innocua fogliolina da un'altra, scoprire quale serve per scopi legali e quale, banalmente, è destinata al "fumo".

Non è un caso che il professore si affretti a porgere le proprie scuse. Ha fretta. Più tardi, nel pomeriggio, dovrà assentarsi: "Devo andare di corsa in un campo vicino a Treviso. Qualche giorno fa hanno sequestrato tutto, sebbene la coltivazione fosse regolarmente registrata. Probabilmente, qualche poliziotto di passaggio l'ha vista dalla strada e ha pensato bene che potesse organizzare un blitz. Io sono stato nominato perito di parte e ora tocca a me controllare che le cose siano in regola".

Eccola l'occupazione principale dl Grassi: guidare la sua station wagon su e giù per l'Italia e controllare che la sessantina di campi di canapa tessile sparsa nel nostro Paese siano effettivamente in regola. Ovvero, che nelle cime che lui taglia a caso in mezzo a quegli appezzamenti non si riscontrino tracce consistenti di thc, tetraidrocannabinolo, la principale sostanza psicoattiva della canapa, quella che provoca l'effetto "sballo". Lui le conosce tutte quelle coltivazioni. E conosce i molti problemi, legali ed economici, degli agricoltori che a poco a poco stanno rimettendo in piedi coltivazioni una volta importanti e redditizie.

Fino all'inizio del Novecento l'Italia era la seconda produttrice al mondo di canapa, appena dietro la Russia, la maggior parte destinata all'esportazione. Era un materiale estremamente versatile e dai mille usi. In campo tessile, oltre al vestiario, veniva impiegata nella fabbricazione di vele, cordami, materiali isolanti. Era un ottimo combustibile a basso costo, un mangime nutriente per il bestiame, una base eccellente per prodotti cosmetici, e ha da sempre prodotto carta. Le banconote francesi e la costituzione americana, per fare qualche esempio, erano in carta di canapa. Poi tutto si fermò. Un'imposizione sul mercato delle fibre sintetiche e le feroci campagne antidroga dal dopoguerra in avanti hanno relegato questa pianta nel limbo delle sostanze proibite. Ma è negli ultimi armi, nella ricerca ansiosa di nuove materie prime, che è in atto una rivalutazione dai risvolti assolutamente inaspettati. Per dirne una, è di questi giorni la notizia dell'intenzione di riesumare il progetto della famosa Ford T degli anni Trenta, un'auto interamente costruita in fibra di canapa e alimentata a etanolo di canapa. Si è scoperto, infatti, che questo materiale, così versatile e resistente, ha anche uno straordinario valore ecologico.

Costituita al 90 per cento di cellulosa, la pianta di cannabis cresce fino a 5 metri di altezza in soli 4-5 mesi, alla velocità anche di 10 centimetri al giorno. Un metro quadrato di canapa ha dunque una resa molto superiore a quella del legno e il suo utilizzo, soprattutto, non comporta la distruzione di alberi. Ma se qualcuno scommette già sulla canapa come contributo alla risoluzione della nuova crisi energetica in atto, è in campo medico che bisognerà aspettarsi le maggiori sorprese. Il 4 marzo scorso, a Parma, si è costituita l'Associazione per la cannabis terapeutica, parte di una più grande associazione internazionale che raccoglie studiosi e medici di tutto il mondo che stanno studiando gli effetti dei cannabinoidi su alcune patologie gravi quali la sclerosi multipla, l'epilessia, le conseguenze delle chemioterapie, gli effetti dell'aids e più in generale le terapie di riduzione del dolore (mentre in Gran Bretagna una legge declasserà la cannabis, nella tabella delle droghe, al livello di steroidi antidepressivi). In tutto ciò i coltlvatori continuano a trovarsi dl fronte a una vecchia legge che stabilisce norme molto restrittive: la dichiarazione del numero di semi utilizzati, la recinzione delle piante, l'illuminazione a giorno e la continua sorveglianza dei campi. Senza contare il test finale per confermare che la percentuale di thc presente sia inferiore al tetto massimo oltre il quale si considera la pianta sostanza stupefacente.

"I1 problema è che queste leggi sono totalmente empiriche" lamenta Grassi. "D'altronde, è molto difficile impedire che una pianta non produca naturalmente thc. Entrano in gioco non solo le varietà selezionate, ma anche il sole, l'acqua, il terreno. Inoltre, esistono teorie contrastanti anche sui sistemi di rilevazione del thc". Risultato: qualche coltivatore si ritrova coinvolto in procedimenti penali, alla stregua di uno spacciatore. "Con il nostro lavoro, cerchiamo di ricreare una coscienza oggettiva su quelle che sono oggi le potenzialità di questa pianta. E, per evitare incidenti come quello avvenuto all'agricoltore di Treviso, ci sforziamo di isolare varietà di cannabis a basso contenuto di thc che siano riconoscibili a colpo d'occhio".

Grassi apre a questo punto le porte del suo gioiello: una serra e un piccolo campo coltivato allestiti sul retro del laboratorio. Ci si aggira tra piante di cannabis di ogni genere, natura e specie tipo "piccola bottega degli orrori". Una varietà ha i piccioli color rosso acceso, un'altra le foglie accartocciate, una è nana e un'altra altissima. Finalmente, Grassi si ferma davanti a quello che deve essere il suo orgoglio. "Dopo tanti anni" spiega "questa è la prima varietà selezionata dove siamo riusciti a eliminare completamente il thc. È una scoperta importante perché potrebbe aprire una nuova fase nella reintroduzione della pianta in Italia". Gli si illuminano gli occhi. Nelle prossime settimane darà l'annuncio ufficiale dell'invenzione, insieme con il team ucraino con il quale ha sviluppato la ricerca. Rimane da chiedersi quale sarà la reazione di quei giovani che il thc della cannabis lo vorrebbe raddoppiato anziché eliminato.

Panorama, n. 45
8 novembre 2001



LO SCIENZIATO Gianpaolo Grassi: guida alla periferia di Bologna il centro di ricerca sulle colture industriali e si occupa dello studio della canapa.