Cannabis 1988

Vecchia droga, nuovi pericoli

La questione della potenza

La storia della nuova marijuana, presumibilmente più forte e pericolosa, è rinata nel gennaio del 1986 per mano di Sidney Cohen, M.D., professore di Psichiatria all’UCLA, il quale asseriva che era in uso materiale dieci volte più potente del prodotto fumato dieci anni prima, e che lo stato d’intossicazione era più intenso e durava più a lungo; Cohen inoltre sosteneva che: "…la quantità di THC di campioni confiscati per le strade era, nel 1984, in media del 4.1 %. Le varietà di sinsemilla ne contenevano il 7%, con campioni che raggiungevano il 14% … la ricerca sulla marijuana fino a oggi è stata condotta su materiale contenente l’1 o 2% di THC, rischiando di sottovalutare le attuali pratiche di fumo".Più tardi, nello stesso anno, il Dott. Richard Hawks annunciava che la potenza media dei campioni di marijuana confiscati dalla Drug Enforcement Administration (DEA) era aumentata da 0.5% di THC nel 1974 al 3.5% nel 1985-86, e la sinsemilla (marijuana senza semi) da 6.5% a 12% (Kerr1986:1). Donald M.Delzer, presidente della National Federation of Parents for Drug Free Youth, aggiungeva che:"… i genitori che l’avevano provata in gioventù non sono consapevoli di quanto maggiore sia la potenza." (Kerr1986:18).
" Dal 1970 la marijuana, ora percepita come droga pesante, ha aumentato la potenza del 1400%" proclamava il volantino di una conferenza nazionale sulla marijuana (Henry Ohlhoff Outpatient Programs 1986). Prontamente, professionisti del trattamento contro l’abuso di droga, approfittano dello scalpore creato. Tennant (1986) asserisce che la droga degli anni ’70 conteneva dall’1 al 3% di THC, mentre quella degli anni ’80 dal 5 al 15%. Il cervello, inoltre, registra la diversità in modo esponenziale, così che la differenza tra l’1 e il 10% di THC non era il 9%, ma superiore al 900% (Garcia 1986:3). Smith afferma che Cohen "… ci ha insegnato che la marijuana é molto più pericolosa di quanto pensavamo originariamente, particolarmente con l’uso di preparazioni molto più potenti fatte dai giovani ". Inaba (1987) aggiunge che: "…questa marijuana nuova e più forte, ha effetti più dirompenti nella chimica del cervello e sul corpo, di quanto si credeva in precedenza" e menzionava effetti collaterali sugli atleti finora mai descritti:" Giocatori di baseball che venivano spesso colpiti alla testa, ammisero di fumare marijuana e questo pregiudicava la loro capacità di seguire la palla."
In un articolo per consulenti sull’abuso di droga, Meyers (1987) consiglia "una terapia di supporto" per gli effetti della ‘nuova’ marijuana, i quali vengono descritti come:"…spersonalizzazione, disorientamento, inadempienza, cambiamenti di percezione ed alterazioni dell’immagine del corpo … sindromi acute del cervello con temporaneo offuscamento dei processi mentali…un cambiamento della percezione del tempo (dove minuti sembrano ore), il pensare è più lento e si temono danni al cervello". Le cliniche Schick Shadel Health Services, che si occupano del trattamento contro l’abuso di droga (non firmato 1987), ora pubblicizzano che la marijuana ha aumentato il contenuto di THC dall’1% del 1975, al 6% e fino al 14% del 1985, grazie a tecniche di ibridazione… Per coloro che sono assuefatti alla marijuana, sia anni fa che di recente, oggi è necessario un trattamento ancor più pesante."
Nonostante la rispettabilità di queste autorità, nessuna delle suddette dichiarazioni allarmanti è nuova, e non lo è nemmeno la questione della potenza. Ci sono varie affermazioni tra loro intrecciate: 1) che la marijuana disponibile oggi è molto più forte di quella del passato; 2) che gli effetti di questa nuova marijuana sono diversi da quelli conosciuti in precedenza; 3) che tutta la ricerca in passato è stata eseguita su materiali deboli ed è perciò irrilevante. Prima di unirsi al coro si dovrebbe esaminare la validità di queste asserzioni.

PROSPETTIVE STORICHE
Per 150 anni la marijuana è stata descritta dagli scienziati occidentali come estremamente potente (con la possibile eccezione della sindrome del bean-ball dei giocatori di baseball) ed ugualmente anche gli effetti della nuova marijuana. Tanti paesi hanno svolto molta ricerca sulla cannabis ad alta potenza.
Negli scritti che introducono la cannabis alla medicina occidentale, O’Shaughnessy (1839) discuteva sull’uso diffuso in India, a livello sociale e medico, della ganja (sinsemilla) e annotava sintomi di "….delirio che causava l’incauto uso di preparazioni di canapa, soprattutto tra i ragazzi che ne iniziavano la pratica." Le tinture di cannabis presto comparvero anche in Europa e in America (Robertson 1847; Savory 1843) e Fitz Hugh Ludlow (1857) descrisse vivaci ‘viaggi’ psichedelici dopo la loro ingestione, includendo tutti i sintomi menzionati da Meyers (1987). La Ohio State Medical Society (Mc Meens 1860) revisionò qualcosa come quindici anni di esperimenti clinici con la droga e riconobbe gli intensi ma fisiologicamente benigni effetti mentali causati da alti dosaggi o da sensibilità idiosincratica.
Wood (1869) descrisse gli effetti che una tintura fatta con marijuana del Nord America ebbero su se stesso: distorsione nella percezione del tempo, convulsioni e perdita di memoria, ma nessun effetto collaterale avverso. Egli riportò un considerevole successo con quella marijuana nella cura di nevralgia grave. Quindici anni dopo, Wood e Smith (1884) fecero un commento sulla variabilità di potenza della cannabis, sottolineando, nell’uso medico, un trattamento appropriato per le overdosi.
I primi ricercatori (Mc Meens 1860; Bell 1857) attribuivano la variabilità a "procedimenti farmaceutici difettosi" adottati in paesi stranieri, e si raccomandavano che gli estratti fossero preferibilmente preparati in casa. Ad ogni modo le estreme variazioni nelle preparazioni manufatte localmente vennero presto riconosciute nel Dispensatory of the United States (Wood&Bache 1868: 379-382). Una tecnica pratica di bioanalisi venne gradualmente perfezionata iniziando dalle osservazioni sistematiche di Hare (1887), seguite da quelle di Evans (1894) e di Marshall(1898), per compensare le variazioni di potenza tra le partite di marijuana.
La soluzione pragmatica al problema dell’overdose/potenza, sia negli Stati Uniti (Wood&Bache 1868: 382) che in Inghilterra, fu di titolare la dose. A Londra, un paziente che firmò una lettera agli editori di Lancet, W.W. (1890) riferì un caso tipico: a W.W. era stata data, inavvertitamente, dal proprio dottore, un’overdose di cannabis per curare una nevralgia ed aveva subito una distorsione percettiva, agitazione, cambiamenti d’umore e paura della morte. Sir J.Russell Reynolds, M.D., F.R.S., medico di famiglia della regina Vittoria, rispose con un consiglio basato su trent’anni di esperienza con la droga (Reynolds 1890), affermando che: "…la canapa indiana, nel caso sia pura e somministrata con attenzione, è una tra le medicine più valide in nostro possesso…per iniziare se ne dovrebbe somministrare una piccola dose, che successivamente viene, gradualmente e con cautela, aumentata."
Durante il XIX sec., la ricerca sociale e scientifica sulla marijuana, come anche sulle tinture, fu condotta con materiali molto più forti di quelli che si trovano nel mercato illecito oggi.
L’ Indian Hemp Drugs Commission del 1893-1894, per esempio, aveva indagato sugli usi sociali, religiosi e medici di bhang (marijuana), ganja (sinsemilla) e charas (hashish). Le potenze delle varietà provenienti dalle diverse parti del subcontinente erano valutate da chimici e botanici del governo (Evans 1894, Hooper 1894), adottando la "superiorità riconosciuta" della ganja del Bengala come quella standard. La Commissione trovò che il moderato uso di marijuana anche molto potente non causava danni fisici, mentali o morali significativi (Kaplan 1969; Mikuriya 1968).
Nell’ultima decade dell’800, al culmine dell’interesse medico per la droga, i chimici britannici (Wood, Spivey & Easterfield 1899) isolarono un principio attivo impuro, il cannabinolo, usando un ‘olio rosso’, distillato dalla cannabis indiana, come punto di partenza, il quale fu considerato, fino
agli anni trenta, l’ingrediente attivo (Work, Bergel & Todd 1939; Cahn 1931). Nel 1909, Marshall dimostrò che l’ossidazione durante il periodo di magazzinaggio era la principale causa della variabilità di potenza della droga. Con questa scoperta l’industria farmaceutica spostò l’attenzione nella produzione di estratti standard che potessero essere usati per analizzare i composti medicinali (Colson 1920). Risaputo ormai da tempo che ganja e charas davano gli estratti migliori (Wallich 1883; Robertson 1847), era implicito che i produttori europei ed americani dovevano imparare a coltivare la ganja.
La coltivazione di sinsemilla attraverso la tecnica indiana del raccogliere le piante maschio prima che le piante femmine producano i semi, procedimento al quale i ricercatori attribuiscono la potenza della nuova marijuana, era esaurientemente descritta dal governo inglese in India (Kaplan 1969: 59-84; Prain 1893; Kerr 1877). All’inizio del ‘900, nello sforzo di promuovere la ganja del Bengala, il Raj britannico impose una tassa d’esportazione sull’inferiore ganja di Bombay, e i farmacologi in Europa ed in America cominciarono ad imparare la coltivazione di sinsemilla (Mair 1900).
Holmes (1900) discusse le potenzialità della ganja di Calcutta e di Bombay e raccomandò che la prima venisse usata per preparazioni farmaceutiche, sia attraverso la coltivazione propria della ganja secondo i metodi del Bengala da lui sottolineati (Holmes 1902a), che estraendola direttamente in Bengala e facendola arrivare per nave in contenitori ben chiusi (Holmes 1902b). Paragonando la potenza della cannabis proveniente dall’Uganda, dalla Francia e dall’India, Holmes (1905) esortò l’ammissione nella farmacopea britannica solo delle preparazioni di sinsemilla indiana.
In modo simile Whineray (1909) e Hooper (1908) descrissero la coltivazione e la lavorazione della ganja, indicando che la cannabis cresciuta nel Nord America con i metodi indiani poteva essere potente quanto la canapa indiana. Il National Standard Dispensatory del 1909, che includeva medicine dalle farmacopee degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Germania, dava i dettagli sulla coltivazione di sinsemilla inserendo un disegno di un fiore perfetto di ganja di Calcutta, come esempio da essere emulato dai coltivatori occidentali (Hare, Caspari & Rusby 1909: 374).
Negli Stati Uniti, Hamilton e i suoi colleghi (Hamilton, 1918; Hamilton, 1915; Hamilton, Lescohier & Perkins 1913; Houghton & Hamilton 1908) dimostrarono che se le piante per l’estrazione venivano coltivate e lavorate con cura, la ganja cresciuta in America ed i suoi estratti erano affidabili quanto quelli provenienti dall’India e, se immagazzinati in modo appropriato, non subivano deterioramenti significativi. Così, durante i primi vent’anni del ventesimo secolo, le informazioni sulla coltivazione di potentissima marijuana senza semi furono ampiamente diffuse tra i produttori farmaceutici occidentali.
Il governo degli Stati Uniti non conosceva queste tecniche di coltivazione di sinsemilla nella prima tenuta federale di marijuana fondata nel 1904 sulle Pianure del Potomac ( dove si trova oggi il Pentagono) a Washington, D.C. (Silver 1979: 262-263), ed il risultato fu che le piante di marijuana alte 10 piedi ( 3m.circa) coltivate sia là che altrove in America, erano molto meno potenti dei campioni di canapa indiana (Eckler & Miller 1912). Ad ogni modo, le case farmaceutiche private avevano più successo; la Eli Lilly e la Parke-Davis gestirono assieme una impresa rischiosa a Parkdale (una tenuta della Parke-Davis vicino a Rochester, Michigan) dal 1913 fino al 1938 per lavorare gli estratti di canapa ad uso medico, inizialmente dalla Cannabis indica, successivamente standardizzata in Cannabis americana, da loro sviluppata su un tipo di pianta molto potente (Wheeler 1968).
Le case farmaceutiche commercializzavano gli estratti di canapa, uniformemente efficaci ai livelli di 10mg. per dose (Parke-Davis & Company 1930:82), undici anni prima che fossero rimossi ufficialmente dalle medicine disponibili.
Nel 1941, la cannabis venne rimossa dalla United States Pharmacopoeia (USP) su ordine del Federal Bureau of Narcotics, che dichiarò improvvisamente che la marijuana non aveva usi in medicina (Mikuriya 1973:xx). La rimozione dall’USP non mise fine alla ricerca scientifica e sociale sulle forme molto potenti di cannabis, che spaziavano dalla marijuana red-dirt del Midwest all’olio rosso dei laboratori.
Adams, Pease e Clark (1940) descrissero i miglioramenti nelle procedure per preparare l’olio rosso purificato della canapa selvatica del Minnesota, la comparazione delle potenze tra la marijuana del Minnesota e l’olio rosso era per Loewe, direttore farmacologico del LaGuardia Committee (Mayor’s Committee on Marijuana 1944: 186ff il comitato del Sindaco per la marijuana), di significativo interesse. Concentrati di olio rosso vennero usati assieme alla marijuana negli esperimenti del LaGuardia Committee sui prigionieri, sotto la direzione personale di Loewe (Mayor’s Committee on Marijuana 1944: 32); per un racconto soggettivo vedi Mezzrow e Wolfe (1946: 317ff). Negli anni ’40, Adams e Loewe negli Stati Uniti e Todd in Inghilterra, isolarono altri cannabinoidi, compreso il THC, che fu postulato da Adams (1940) come il principio attivo.
Questi isolati furono i principali sostegni della ricerca sulla marijuana durante gli anni ’40 e ’50. Un potente olio di marijuana creato come siero della verità per gli interrogatori dall’Ufficio dei Servizi Strategici (Office of Strategic Services) durante la Seconda Guerra Mondiale (Lee & Shlain 1985: 3-5) fu il precursore di successivi esperimenti clandestini condotti dalla CIA e dal Dipartimento della Difesa a Edgewood Arsenal nel Maryland da gli anni ’50 ai ’70 ( Mikuriya 1973: xxii). Esperimenti con la droga synhexyl, un potente analogo del delta3-THC, furono svolti dagli anni ’40 (Adams et al.1941) fino a metà degli anni ’70 (Lemberger 1976; Pars & Razdan 1976), ma vennero abbandonati prima che le sue potenzialità fossero completamente esplorate.
Negli anni ’60, l’identificazione del puro delta9-THC come il principio attivo nella cannabis (Gaoni & Mechoulam 1964), rese possibile l’analisi delle potenze relative dei cannabinoidi direttamente su soggetti umani (Isbell et al. 1967). Nonostante Weil, Zinberg e Nelsen (1968) dimostrarono la sicurezza della ricerca della marijuana sugli umani, molta della ricerca americana degli anni ’70 venne svolta con marijuana a bassa potenza, poiché il governo non l’avrebbe approvata con varietà ad alta potenza. Infatti, in uno dei primi studi (Jones & Stone 1970), un concentrato di THC fu rimosso dalla marijuana messicana e poi ridistrbuito nella partita affinché la marijuana ritornasse alla sua potenza di 0,9% di THC. Fuori dagli Stati Uniti non vennero applicate queste restrizioni: il fatto che il cannabidiolo interferisce con gli effetti del delta9-THC fu scoperto in Brasile, usando entrambi i cannabinoidi purificati su persone ( Karniol et al. 1974).
Gli anni ’60 e ’70 videro un fiorire a livello mondiale della ricerca sulla cannabis, essa includeva gli aspetti sociali, psicologici, chimici, botanici e legali, e comprendeva l’enorme ampiezza di potenze e dosaggi. Il lavoro più grande in botanica coinvolgeva le questioni sulla potenza: l’osservazione di fenotipi all’Università del Mississippi (Fetterman et AL. 1971) ed in Canada (Small 1979); la determinazione di un lectotipo per la Cannabis sativa L. (Stearn 1974); la distinzione della Cannabis sativa dalla Cannabis indica e Cannabis ruderalis (Schultes et al. 1974), e le tecniche di coltivazione per la produzione del THC aumentato (Clarke 1981; Frank&Rosenthal 1978).
Perciò l’affermazione di Cohen (1986) che: " …tutta la ricerca attuale sulla marijuana è stata eseguita su materiale con 1% o 2% di THC", non è accurata per quanto riguarda gli anni ’70 o per qualsiasi altra decade tornando indietro al 1839. Essa ignora gran parte della ricerca di laboratorio negli Stati Uniti che è stata sommarizzata da Cohen stesso (Cohen&Stillman 1976), da Hollister (1986) e l’Accademia Nazionale delle Scienze (1982), e da tutta la ricerca sociale sulla marijuana ad alta potenza in Giamaica (Rubin&Comitas 1975; Bowman&Pihl 1973), in Costa Rica (Carter&Doughty 1976), in Grecia (Fink et al.1976) e in Africa (DUToit 1980). E’ difficile pensare ad un paese in cui l’affermazione possa essere vera.

RECENTI STIME DI POTENZA
Dall’avvento della tecnologia di analisi quantitative, ci sono stati sporadici rapporti sulla percentuale di delta9-THC ed altri cannabinoidi nei prodotti di cannabis naturale o semi-sintetica. Non opponendoci agli effetti psicofisici di altri cannabinoidi, si pensa che la quantità di THC presente nei campioni di marijuana ne determini la potenza (National Commission on Marijuana and Drug Abuse 1972: 50), e la potenza è generalmente espressa dalla percentuale di THC rispetto al peso. I risultati di analisi quantitative svolte su campioni "di strada" di marijuana sono stati pubblicati fin dalla fine degli anni ’60. Questi risultati sono usualmente più alti del presunto 0,5% di THC contenuto nella marijuana menzionato per i primi anni ’70.
Lerner e Zeffert (1968) hanno descritto l’elaborazione di analisi quantitative per la determinazione del contenuto di THC, ed osservato una grande variazione tra i campioni di marijuana, hashish e olio rosso( ancora in uso a livello sperimentale negli anni ’60). Nel 1968 il contenuto di THC di marijuana messicana confiscata era tra lo 0,8 e l’1,4%, quello di hashish era in media un 8% e dell’olio rosso un 31%. Analisi quantitative di campioni "di strada" di marijuana e hashish svolte nel 1971 da laboratori canadesi per la Commissione d’Inchiesta riguardo all’uso non medico delle droghe (1972: 28-29) hanno mostrato una gamma tra lo 0,02% e il 3,46% di THC (medio=0,93%) nella marijuana, e tra l’1% e il 14,3% (medio=4,82%) nell’hashish. Campioni trovati in retate della polizia erano meno potenti: la marijuana aveva una percentuale di THC tra lo 0,05% e l’1,65% (medio=0,21%), mentre quella dell’hashish era tra lo 0,0% all’8,6% (medio=1,3%). Le differenze riportate tra i campioni confiscati dalla polizia e quelli delle strade sottoposti ad analisi dai laboratori, possono essere dovute ad un’intenzionale analisi dei campioni proprio per la loro straordinaria potenza, oppure le condizioni di conservazione nei magazzini della polizia erano tutt’altro che ottimali per la stabilità di potenza.
Questo potrebbe trovare una spiegazione sulla questione della potenza, perché la bassa potenza citata da Cohen (1986) e da Hawks (vedi Kerr 1986) si riferiva a campioni confiscati dalla DEA. Si sa che fin dai primi giorni del suo isolamento (Wollner et al. 1942), il THC si ossida rapidamente a cannabinolo nei campioni conservati a temperatura ambiente (24°). Lerner (1963) ha riportato una diminuzione della concentrazione di THC nella marijuana dal 3% al 5% in condizioni ambientali normali, e Razdan (1970) ha riferito una diminuzione del 10% per mese.
L’influenza della temperatura, della luce e del tempo sulla potenza ci è stata indicata da Starks (1977: 13-15). La bassa percentuale di base del THC riportata negli anni ’70 poteva essere causata dal deterioramento dei campioni confiscati ed immagazzinati. Ad ogni modo, la bassa linea di base che genera la differenza nel contenuto di THC di campioni successivamente riportati sembrava molto più grande di quanto poteva essere stata in realtà, desumendo che la marijuana fumata dai consumatori era più fresca di quella sequestrata dalla polizia ed immagazzinata. Per un breve periodo, all’inizio degli anni’70, la PharmChem Laboratories di Palo Alto, California, ha testato e riportato la percentuale di THC contenuta in campioni di marijuana sottoposti ad analisi in modo anonimo. Per il 1970, la PharmChem ha riportato un contenuto medio di THC nella marijuana del 1.62%, confrontato con il 4.6% dell’hashish ed il 13.5% (Ratcliffe 1974) dell’olio di hashish (un estratto raffinato dell’hashish).
Nel 1974 la DEA pubblicò delle regole che non permettevano più ai laboratori di fornire i risultati finali ai donatori di campioni. Questo, in effetti, ha ristretto il pubblico accesso dell’informazione sulle analisi a qualsiasi ufficiale del governo intenzionato a fare rivelazioni. La pubblicazione di sommari non specifici sulle gamme percentuali di THC invece era autorizzata (non firmato 1974). Diversi tipi di semi contenevano una percentuale di THC che variava da una media del 2.2% (Messicana) al 4.9% (PanamaRed), la sinsemilla invece conteneva una media del 2.8% per quanto riguarda la Big Sur "Holy Weed" ad oltre un 6% per Thai Sticks e l’avaiana "Maui Wowie". Questo vuole apparire come un campione molto più rappresentativo dei tipi di marijuana presenti in California nel 1973-1974 rispetto allo 0.5% citato da Cohen (1986) e Hawks (vedi Kerr 1986), oppure del 3% citato da Tennant (1986). Un sommario retrospettivo dell’analisi della droga "di strada" che girava tra il 1969 fino al 1975, pubblicato dalla PharmChem (Perry 1977), conferma il fatto che, fino al 1975, forme alquanto potenti di cannabis erano disponibili sul mercato illecito americano: " Un precedente lavoro quantitativo ha mostrato una gamma dall’1% al 2.5% di THC presente in media nella marijuana. Nel 1975, la gamma si estendeva tra l’ 1% e il 2.5%; campioni con percentuali tra il 5% e il 10% non erano rari, ed alcuni contenevano fino al 14% di THC…L’olio di hashish (concentrato tratto dall’ hashish, generalmente color ambra o rosso) e olio d’erba (concentrato tratto dalla marijuana, color verde scuro o nero)…variano ampiamente in potenza, alcuni campioni contenevano fino a un 40% di THC." Molte informazioni sulle potenze comparative di cannabis coltivata negli USA ed in altri paesi durante la metà degli anni ’70, sono state riassunte da Starks (1977: 41-87).
Nella primavera di un altro anno di elezioni, il1980, Cohen e DuPont lanciavano una campagna simile, affermando che la marijuana confiscata nel 1975 conteneva solo lo 0.4% di THC, mentre nel 1979 la media era del 4%, un incremento pari a dieci volte (Brody 1980: C1). Questi dati sono direttamente in conflitto con ciò che la PharmChem aveva pubblicato su i campioni di strada del 1975 (Perry 1977). Forse dovremmo essere grati che, secondo queste stime, la potenza della marijuana è caduta da un 4% di THC nel 1979 al 3.5% nel 1986 (Kerr 1986).
Il più recente confronto di potenze di cannabis è stato compilato dalla National Academy of Sciences (1982: 16) attraverso fonti pubblicate tra il 1972 e il 1981. Esso ci mostra nuovamente la vasta gamma di prodotti presenti legalmente (ad es. i campioni NIDA) ed illegalmente durante quel decennio, e può in realtà sottovalutare alcune potenze. Per esempio, il 2.8% di THC citato nei riguardi della ganja giamaicana ( Marshman, Popham & yawney 1976) è leggermente più basso del puro 2.96% di THC sul materiale studiato da Rubin e Comitas nel 1970 e per tutto il 1972 ( non firmato 1973), e significativamente più basso del 4% di THC nella ganja giamaicana citato dalla National Commission on Marijuana and Drug Abuse (1972: 50).
Le ricerche sui raccolti del governo (Rosenkrantz 1981) sono considerevolmente meno potenti dei campioni di sinsemilla che contenevano in media tra il 3% e l’11% di THC (Turner 1981, 1980). Forse questo si spiega perché i coltivatori nel gestire le colture di marijuana dell’Università del Mississippi, come i loro predecessori del 1904, non hanno mai imparato il giusto modo di coltivare la sinsemilla (Turner ed altri 1979), mentre i coltivatori illeciti in California e alle Hawaii producevano quella "regolare" per l’industria (Frank & Rosenthal 1978: 258-259). Se così è stato, questo solamente potrebbe spiegare le discrepanze tra la potenza di marijuana riferita dalle fonti di governo che era coltivata negli USA durante gli anni ’70 e ’80.

AUTO-AGGIUSTAMENTO DEL DOSAGGIO
Un importante considerazione, riguardo alla questione della potenza, è l’auto-titolazione, l’aggiustamento della dose effettuata dal fruitore per ottenere gli effetti ottimali ed evitare quelli spiacevoli. Come ho già detto, la prudente titolazione della dose era una pratica standard quando le preparazioni di cannabis venivano adottate in medicina. Fumare marijuana, abitudine nell’attuale uso sociale della droga, richiede la conoscenza di quando fermarsi per evitare i sintomi di overdose. Il fumo in circolo causa un rapida reazione a chi lo usa facendo attenzione ai livelli d’effetto poiché la droga va direttamente dai polmoni al cervello, senza passare per lo stomaco o il fegato. I ricercatori del Mayor’s Committee on Marijuana (1944: 33) erano stati fra i primi a notare che i fumatori di marijuana esperti, nei "tea-pads" di Harlem, praticavano a turno l’auto-titolazione. Essi hanno osservato che colui che ne fa uso sembra essere ben consapevole della quantità che necessita per raggiungere l’effetto detto di "sballo". Una volta ottenuto l’effetto non può essere persuaso a consumarne di più. Egli sa quando ne ha abbastanza…ed è sempre consapevole per evitare di diventare troppo "sballato". Similmente la Commission of Inquiry into the Non-Medical Use of Drugs (1972: 48) ha osservato che le grandi variazioni in potenza vengono generalmente aggiustate dall’utente esperto attraverso una "titolazione" della dose (quando il fumatore raggiunge il livello d’intossicazione desiderato riduce o blocca l’inspirazione). Per quanto riguarda gli utenti americani, la National Commission on Marijuana and Drug Abuse (1972: 166) ha così commentato:"… qualsiasi sia la potenza della droga usata, gli individui tendono a fumare solo la quantità necessaria per raggiungere l’effetto desiderato".

RIASSUNTO E CONCLUSIONI
L’osservazione nel mondo reale dell’uso sociale di marijuana, nel quale l’auto-titolazione è la norma, rende le tattiche della paura per la nuova marijuana, non solo inaccurate ma irrilevanti. Esistono molte prove pubblicate riguardo alla presenza di tipi di cannabis altamente potenti dall’inizio del novecento fino ad oggi. Gli effetti attribuiti alla nuova marijuana sono gli stessi discussi per secolo in tante e diverse culture. L’affermazione che:"…tutta la ricerca attuale sulla marijuana è stata eseguita su un materiale contenente l’1% o 2% di THC" (Cohen 1968), ignora le diverse migliaia di anni di esperienze umane con la droga. I vecchi estratti medici di cannabis erano più forti della maggior parte di forme attualmente disponibili, sebbene la potenza degl’illeciti olii di hash nella metà degl’anni ’70 avesse avvicinato il livello delle preparazioni medicinali presenti prima della loro rimozione dall’ United States Pharmacopoeia (USP).
Mentre può essere vero che la sinsemilla è più largamente disponibile rispetto a 10 o 15 anni fa, la sua potenza non è cambiata in modo significativo, da un 2.4% ad un 9.5% di THC nei materiali disponibili nel 1973-1974, oppure dal 5% al 14% nella sinsemilla del 1975 (Perry 1977).
La gamma di potenze presente al tempo (marijuana da un 0.1% ad un 7.8% di THC, con una media dal 2% al 5% di THC nel 1975) era approssimativamente la stessa che viene riportata oggi. Con una tale gamma, le prove non possono sostenere la questione di Cohen (1986) che la marijuana è:"…dieci volte più potente del prodotto fumato dieci anni fa." E dire che la potenza della marijuana è aumentata del 1400% da qualsiasi altra data nella storia è puro nonsense. Non è legittimo dedurre che la media delle potenze basse rappresenti tutta la gamma di potenze presenti realmente. E non è nemmeno valido citare il valore più basso della gamma di allora come linea di base a cui comparare il valore più alto della gamma attuale. La linea di base dichiarata riguardo al contenuto di THC nei primi anni ’70, sembra essere troppo bassa, probabilmente perché era stata confiscata, ed i campioni utilizzati erano quelli conservati dalla polizia; questa linea di base fa apparire la differenza dichiarata molto più grande di quanto fosse in realtà.
Per riassumere, la nuova marijuana non è nuova, e non lo è nemmeno l’iperbole che circonda la questione. Le implicazioni sulla nuova campagna di disinformazione sono alquanto serie. Molte persone, in particolare i fruitori esperti degli anni ’60 ed i loro figli, una volta ancora si scrolleranno le spalle di fronte agli avvertimenti degli specialisti della droga e non terranno conto dei più ragionevoli ammonimenti riguardo alle droghe più pesanti. Questo non è solo un’offesa a coloro che si rivolgono alla scienza, alla professione medica, ed al governo per una conduzione intelligente, ma macchierà la reputazione degli educatori, e diminuirà la credibilità dei professionisti del trattamento contro l’abuso di droghe, i quali diffondono questi invalidi referti.

Tod H.Mikuriya, M.D.* & Michael R. Aldrich, PH.D.**

*Psichiatra e Terapista per l’abuso di sostanze, 41 Tunnel Road, Berkeley, California 94705
**Amministratore, Fitz Hugh Ludlow Memorial Library,San Francisco, California