DROGA, la batteremo liberalizzandola

Gli Stati troverebbero più risorse per diminuire domanda e consumi.


Il conflitto in Afganistan, al centro di un'area dove si produce la maggior parte dell'eroina consumata nel mondo, ha illuminato di nuovo i riflettori sul problema della droga e sugli immensi interessi economici che ruotano attorno a questo flagello del mondo moderno. Ed è ripreso il dibattito sulla liberalizzazione della droga, vista con favore (vedi la lettera di Benedetto Della Vedova del 23 settembre) da chi si preoccupa di tagliare i finanziamenti ai talebani e osteggiata (vedi la lettera di Andrea Muccioli del 30 settembre) da chi la considera una resa irresponsabile a un "veleno per l'anima e per il cervello".

Non aiuta certo il dibattito una incomprensione di fondo. La parola "liberalizzazione" evoca anarchia o cieca fiducia nei meccanismi di mercato; e chi è avverso alla liberalizzazione della droga (chiamiamola per brevità LD) considera i fautori della LD come degli apprendisti stregoni, che pensano alla liberalizzazione come a un modo di lasciare che la droga "si autoregoli", un irresponsabile lavarsi le mani, insomma, dell'immenso e terribile problema.

La verità è ben diversa. I veri sostenitori della LD la vedono come un mezzo di lotta alla droga; e un mezzo più efficace rispetto alla via del proibizionismo.

Il dibattito tocca le pulsioni più profonde dell'umana convivenza: il rapporto fra la comunità e il "male". E' sempre stato difficile definire il male in relazione ad atti a "consumo individuale", quali la prostituzione, il fumo, l'alcool, la droga. Ma, pur con varie limitazioni, prostituzione, fumo, alcool sono largamente tollerati nei paesi occidentali. Solo la droga continua a vivere nell'illegalità al riparo di un'immensa industria del crimine.

Proprio in questo collegamento fra droga e criminalità sta il nodo che i fautori della LD vogliono finalmente sciogliere.

Il problema droga è un'idra a due teste: da una parte c'è il consumo di droga, con tutte le sofferenze individuali e sociali, l'abiezione, la disperazione, il dolore, l'abbrutimento che si porta appresso; dall'altra c'è la criminalità che domina l'offerta - produzione e distribuzione - ma che infetta anche la domanda (basti pensare ai crimini compiuti dai drogati per procurarsi i soldi per comprare la droga). I sostenitori della LD vogliono semplicemente tagliare una delle due teste dell'idra; e così facendo avere più risorse per affrontare il primo problema.

Non è vero, insomma che, come scrive Andrea Muccioli, i fautori della LD pretendono che "legalizzando o regolamentando si risolverebbero i problemi del consumo e traffico di stupefacenti". Questa è una caricatura che non aiuta il dialogo. Legalizzare la droga è un modo per fare un salto di qualità nella lotta alla droga.

Ma come? La droga non è un veleno che abbrutisce chi ne diventa schiavo? E bisognerebbe consentirlo, permettere di comprare una bustina di droga come si compera una bottiglia di whisky o un pacchetto di sigarette? Il comune senso morale si ribella a questa conclusione. E tanto più si ribella chi, come Muccioli, paga di persona come testimone quotidiano delle devastazioni della droga. Ma qual è l'alternativa? Il proibizionismo sarebbe ovviamente l'alternativa migliore, se solo funzionasse. Il problema è che non funziona. Il planetario e tragico gioco di "guardie e ladri" va avanti da decenni, come una di quelle guerre nella giungla che continuano da sempre senza mai che una parte possa avere un definitivo sopravvento. La "guerra alla droga" - come la chiamano in America - consuma migliaia di dollari e migliaia di vite: i morti non sono solo quelli dell'overdose, ma anche quelli delle forze dell'ordine e degli spacciatori e dei trafficanti. Ha senso continuare in questa strada? Avrebbe senso se si pensasse che la vittoria "è dietro l'angolo": con una più efficace repressione, con la riconversione delle colture, con una migliore intelligence… L'esperienza mostra che è un'illusione.

Il problema è che l'immensa rendita (in senso economico) della droga va a beneficio della criminalità organizzata. Si tratta di risorse finanziarie molto superiori a quelle che i Paesi mettono in campo per combattere la droga. L'unica maniera per catturare la rendita a beneficio della comunità è di legalizzare la droga, e usare le imposte (analogamente a quello che succede per alcool e tabacco) per fissarne il prezzo a un livello abbastanza basso da non costringere i consumatori a scippare i passanti per finanziarne l'acquisto, ma abbastanza alto da scoraggiarne la domanda procurando allo stesso tempo allo Stato un gettito significativo.

Il prezzo, naturalmente, sarebbe più basso di quello attuale, su cui grava l'illegalità.

E qui veniamo alla domanda cruciale. Abbassando il prezzo non aumenterebbe forse la domanda? Psicologi ed esperti non sono affatto unanimi in proposito. La droga ha una domanda rigida, che obbedisce solo in parte a motivazioni di prezzo. Inoltre, la prima esperienza della droga è spesso una sfida alla società, una trasgressione che si cerca proprio perché è proibita. In ogni caso il punto principale è quello di Muccioli: la dipendenza è sintomo di un malessere che deve essere affrontato con politiche di prevenzione. Ma legalizzare la droga vuol dire aumentare le risorse a disposizione dello Stato per risolvere il problema droga da parte della domanda.

Fabrizio Galimberti

IL SOLE-24 ORE
Domenica, 21 ottobre 2001