La canapa rientrerà tra le colture del 2000?

Le prospettive possono risultare di grande interesse per una serie di fattori agronomici ed economici, occorre però risolvere i problemi legati al contenuto in sostanze psicotrope e creare una efficiente filiera
Gianpietro Venturi, Maria Teresa Amaducci

Sono a tutti ben note le motivazioni che hanno fatto sparire la canapicoltura dalla maggior parte dei Paesi industrializzati. Negli ultimi anni, però, una serie di fattori di origine diversa ha riportato alla ribalta l'interesse per la coltura in differenti areali nord - americani e soprattutto europei.
In questo momento si assiste ovunque a una apparente convergenza di interessi che nella realtà sono slegati e possono paradossalmente contrastare il raggiungimento del fine comune di reintrodurre e sviluppare la canapa. Ci si riferisce, da un lato, alle istanze dei movimenti antiproibizionisti che ritengono persecutorie tutte le norme secondo le quali i derivati della Cannabis vengono equiparati a una droga (norme che rendono difficoltosa o a rischio anche la coltivazione di canapa per fibra), dall'altro agli obiettivi di coloro che ritengono la canapa coltura di grandissimo interesse in alternativa alle produzioni tradizionali eccedentarie e di chi considera di interesse i prodotti industriali ricavabili dalla coltura. Noi ci occuperemo di questi ultimi aspetti.
Va tuttavia premessa una considerazione di carattere generale: se si vuole avere qualche probabilità di successo nella reintroduzione della canapa, gli obiettivi, condivisibili o meno, dell'uno o dell'altro gruppo devono essere perseguiti disgiuntamente. Infatti il mondo agricolo, fondamentalmente tradizionalista, seppur in piena evoluzione, sempre più insofferente della burocrazia che lo tortura, con gravi problemi specifici da risolvere, non vorrà certo essere coinvolto in diatribe che in fin dei conti non lo interessano e non ritiene proprie o in rischi che non ritiene di dover correre. D'altra parte chi richiede una modifica delle attuali normative riguardanti gli aspetti psicotropi della canapa non può certo pensare di avvalersi delle iniziative condotte dal mondo agricolo e da quello industriale della trasformazione, con obiettivi specifici del tutto diversi, anche se rientranti in quello generale di reintrodurre la canapa e di redimerla dal ruolo di coltura perseguitata. Sgomberato il campo da queste considerazioni, rientriamo negli aspetti di nostra competenza.
L'obiettivo è quello di reintrodurre la coltivazione della canapa in areali italiani dove un tempo era praticata o anche i nuovi. Quali sono le motivazioni? Quali sono i fattori che regolano le possibilità di successo? Qual'è la situazione attuale e quali le prospettive? E´ opportuno fare riferimento innanzitutto agli aspetti più generali.

Motivazioni
Sono le stesse di tutte le colture cosiddette alternative o a destinazione non alimentare. L'Ue, con una serie di successivi provvedimenti, ha inteso e intende disincentivare la produzione di eccedenze attraverso l'adozione di diversi meccanismi; fra questi la riconversione produttiva per ottenere materie prime di cui l'Unione è deficitaria, attualmente o in prospettiva, o materie prime da destinare a impieghi innovativi.
In tutti i Paesi dell'Unione si sta quindi assistendo a un fiorire di iniziative di ricerca che riguardano principalmente le filiere dell'amido, dell'energia, delle fibre, degli oli tecnici, dei coloranti, dei dolcificanti e, in generale, di materie prime vegetali destinate all'industria chimica. Si tratta sia di produzioni di massa, con richiesta da parte dell'industria di forti quantitativi e perciò coinvolgenti ampie superfici, sia di particolari produzioni con forte valore aggiunto, ricavabili perciò da colture di nicchia, richieste dal mercato in quantità molto limitate. Alcuni Paesi hanno destinato al settore ampie risorse pubbliche, e anche private, e hanno perciò già avviato una fase iniziale di sviluppo operativo.
L'Italia invece, sebbene la ricerca, per quanto con fondi relativamente limitati, sia stata attivata dal Ministero per le politiche agricole, soprattutto relativamente all'anello agricolo della catena con il progetto PRisCA, è ancora nella fase non solo precompetitiva, ma anche prenormativa. Sono ovvie le implicazioni che ciò comporta; nonostante ciò le motivazioni per sviluppare colture non alimentari, in sintonia con le direttive e le indicazioni della Ue, sono della più completa attualità.
D'altra parte ciò appare ben chiaro dalle prime informazioni su Agenda 2000: si tratta di una vera e propria rivoluzione che potrà comportare notevoli variazioni nella redditività di colture tradizionali e quindi rendere interessanti anche colture non alimentari. Inoltre, gli impegni della Conferenza di Kyoto, accettati autonomamente anche dall'Italia, per la riduzione delle emissioni nell'atmosfera, giocano a favore di queste colture. E´ proprio l'aspetto ambientale che sarà con molta probabilità la carta vincente delle colture non alimentari, sia per le modalità di produzione che per le caratteristiche dei prodotti ottenibili.

Fattori di successo
Perché una coltura mai effettuata proveniente da un diverso areale, oppure praticata in passato e poi abbandonata, possa essere introdotta o reintrodotta con successo deve:

All'agricoltore, ovviamente, interessa disporre di un contratto, sottoscritto molto prima delle semine, che gli assicuri il ritiro del prodotto a un prezzo concordato; in base a ciò, conoscendo il livello produttivo raggiungibile e valutando i costi, potrà decidere se gli conviene o meno effettuare la coltura. All'industria invece interessa soprattutto, prima di effettuare investimenti, la sicurezza della costanza della produzione nel tempo a prezzi che le consentano un utile di trasformazione.
Come si vede i vincoli per una possibilità di successo sono molteplici e, se pur di diverso peso nel quadro generale, devono essere tutti superati poiché anche un solo "buco" nella filiera può far naufragare le più baldanzose iniziative.
E´ sulla base di quanto sopra che nella la Conferenza internazionale organizzata dall'ERMA (European renewable row materials association) il 27 marzo scorso a Bruxelles, molti relatori, sia tecnici che politici, hanno messo in evidenza la necessità di sostenere economicamente, in modo adeguato, questo tipo di colture, che con le loro sole forze per diversi anni dall'avvio, avranno poche o nulle possibilità di sviluppo.

Situazione attuale e prospettive
Come risponde la canapa ai vincoli sopra sintetizzati?

Aspetti agronomici e ambientali
Risponde molto bene da un punto di vista agronomico; è infatti in grado di inserirsi nella maggior parte degli avvicendamenti praticati e anche di costituire la base per soluzioni innovative. Collocazione e durata del ciclo consentono, da un lato, la preparazione dei terreni per la coltura anche a fine inverno e, dall'altro, di lasciarli liberi in tempi e in condizioni tali da favorirne la preparazione per le colture che seguono. Come ben noto, inoltre, la canapa è tipica coltura rinettante poiché, per la velocità di accrescimento e la capacità di selezionare la radiazione luminosa, esercita una competizione vincente nei riguardi della maggior parte delle infestanti. La densità di popolazione e l'espansione dell'apparato radicale con forte anastomizzazione comportano, inoltre, un generale miglioramento della struttura del terreno.
Con le normali metodologie di raccolta, l'apparato fogliare, che mediamente costituisce il 20-30% del peso fresco e il 10-15% del secco, rimane normalmente sul terreno contribuendo a migliorarne le caratteristiche. Il bilancio dei nutrienti nei riguardi della fertilità residua è più vantaggioso per questa coltura rispetto a diverse altre. Le asportazioni per tonnellata di sostanza secca sono pari a 10-l5kg di N, 3-5 di P2O5, 15-17 di K2O, I5 di CaO e 2-3 di MgO.
Non particolarmente soggetta ad avversità biotiche, la coltura teme, soprattutto, vento e pioggia pesante che provocano allettamento.
E´, in sostanza, una tradizionale coltura miglioratrice con input chimico relativamente limitato. Anche l'input energetico, che ovviamente dipende dalle metodologie di raccolta adottate, non è particolarmente elevato, mentre i consumi per i trasporti dipendono dalla scelta (dispendiosa) di movimentare l'intero stelo, oppure da quella (più economica) di procedere a una parziale separazione delle componenti già in fase aziendale o comunque operando entro definiti limiti territoriali. Relativamente al livello produttivo è ragionevole ipotizzare che la coltura sia in grado di fornire mediamente attorno a 10 t/ha di steli secchi con oltre il 20% di porzione corticale utilizzabile. Tale livello produttivo può essere considerato soddisfacente o meno a seconda della destinazione, e perciò del grado di remunerazione del prodotto.
Va messo in evidenza infine che di grande interesse potrebbe rivelarsi l'introduzione della canapa non solo negli avvicendamenti tradizionali, ma anche in terreni ritirati dalla produzione o comunque in zone deboli, quale potenziale depuratrice, competitrice contro malerbe e contenitrice dell'erosione.

Materiale genetico
Purtroppo attualmente non si dispone di seme delle varietà dioiche italiane certificate particolarmente adatte ai nostri ambienti di coltivazione. Si dovrà perciò ripiegare su cultivar monoiche francesi, pur sapendo che anche le più tardive normalmente non raggiungono il livello produttivo delle dioiche italiane.
Si deve essere consci, quindi, che le produzioni che si otterranno possono essere migliorate nei prossimi anni utilizzando materiale genetico più adatto. A titolo di esempio si può riscontrare che, confrontando le epoche di raccolta ottimali per entrambe, la produzione di steli (sostanza secca) delle migliori dioiche supera anche del 30-40% quella delle migliori monoiche oggi disponibili.

Usi
La possibilità di diversificare la destinazione produttiva è una ulteriore caratteristica vantaggiosa per la canapa, che può infatti essere considerata una tipica coltura multiuso. Ciò non solo ricordando la tradizionale suddivisione delle produzioni fra stelo, e quindi fibra e canapulo, da un lato, e seme, e perciò olio e altri componenti minori, oltre a sostanze medicinali e droga, dall'altro. Tale suddivisione è quella tradizionale negli areali dove si coltivano i tipi monoici e quindi si ottiene normalmente il doppio prodotto: steli e seme.
La canapa deve essere considerata multiuso già solo per le possibili destinazioni delle componenti dello stelo. Oltre a quelle ben note e tradizionali dell'industria tessile, della corderia e saccheria, della carta e dei cartoni, che in questa sede non intendiamo trattare, si vanno ampliando destinazioni innovative per le quali è prevedibile un mercato in forte espansione. Basterà ricordare che già nella società attuale l'uso di fibre vegetali è enorme, dell'ordine di 1,8 miliardi di tonnellate; appena l'1% deriva da cotone, il 2% da altre piante da fibra e tutto il resto da arboree da legno. Il consumo è ripartito grosso modo fra: combustione (circa la metà), legnami da segheria (circa un quarto), carta e cartoni (circa un quarto); percentuali irrisorie ricoprono gli impieghi per pannelli, per tessile ed altri usi.
Il mercato potenziale è enorme se si ricorda che, nella sola Unione Europea, vengono utilizzati per imballaggi circa 6 milioni di tonnellate per anno di sostanze plastiche, che potrebbero essere sostituite con fibre vegetali da sole o, molto meglio, in miscela con polimeri. Anche il mercato dei compositi attualmente assorbe nella Ue 400.000 tonnellate di fibre di vetro, non riciclabili, con conseguenti costi e inconvenienti; anche in questo caso possono subentrare fibre vegetali. Altro settore che si ritiene in enorme espansione è quello dei geotessili, il cui impiego diverrà sempre più importante per contenere l'erosione dei suoli; si prevede che già all'inizio del 2000 il mercato potrà assorbire attorno a 70 milioni di tonnellate di fibre vegetali per tale uso. Non va dimenticato il settore della bioedilizia che, sia come materiale isolante per pareti e solai, ma soprattutto in miscela o in sostituzione al polistirolo per alleggerire conglomerati cementizi, non solo in solai, ma addirittura in strutture portanti, può assorbire l'intero stelo, ma anche solo la sua porzione meno nobile cioè il canapulo; quest'ultimo può essere utilizzato anche come substrato in colture di funghi, lettiere, componente dei substrati per vivaismo, ecc.
Invece l'uso dell'intero stelo, o anche delle componenti meno pregiate, per destinazione energetica difficilmente potrà divenire economicamente conveniente, poiché la coltura non potrà certo essere competitiva con altre, in grado di produrre dal doppio al triplo di sostanza secca per unità di superficie. E opportuno esporre qualche numero in proposito per mitigare qualche illusione che si va prospettando. Infatti, comparando la canapa con altre specie da fibra annuali, si riscontra una notevole inferiorità relativamente alla biomassa, pur caratterizzata da una maggior percentuale di sostanza secca rispetto alle altre specie; la sostanza secca prodotta dalla canapa è vicina a quella del kenaf ed è circa la metà di quella del sorgo da fibra. Se si considera il solo stelo si rileva che la canapa è confrontabile con kenaf e mais, con produzioni appena superiori a 10 t/ha, e notevolmente inferiore al sorgo che raggiunge le 20 t/ha. La canapa quindi per la destinazione energetica non può competere con il sorgo fra le colture annuali e nemmeno con diverse poliennali.
Dall'elencazione degli usi della canapa si potrebbe trarre la convinzione che ciascuno non tiene conto degli altri. In realtà è indispensabile ricordare sempre la caratteristica di multiuso della coltura. L'obiettivo deve essere sempre quello di valorizzare la componente di maggior pregio, che potrebbe essere diversa a seconda delle situazioni, senza mai trascurare i sottoprodotti (perfino le polveri di lavorazione possono essere remunerate impiegandole come sostanze assorbenti). E solo da una gestione globale di tutte le componenti che può derivare il reddito della coltura.
D'altra parte, ovviamente, qualsiasi utilizzazione della canapa dovrà sottostare a criteri di economicità per assicurare un reddito sia alla componente agricola che a quella industriale della filiera. L'impostazione generale di quest'ultima, però, potrebbe essere una ottima occasione per applicare in pratica una filosofia di tipo ambientale che, pur soddisfacendo le esigenze dei singoli, rientra anche nell'assolvimento di interessi sociali riducendo l'impatto sull'ambiente. Si tratta di applicare il concetto di "cascata" teorizzato dall'olandese T. Sirkin nel 1991 e ripreso dallo stesso, assieme a M. ten Houten, negli anni successivi. In breve può essere così spiegato: ogni prodotto ha un ciclo di vita, cioè di utilizzazione, al termine del quale viene distrutto; saranno quindi necessarie nuove materie prime, nuovi input chimici, energetici, ecc. per ricrearlo e poi ridistruggerlo e così via per successivi cicli; si incontreranno anche costi per smaltire i residui e anche per eventuali problemi di inquinamento.
Si dovrà cercare, quindi, di utilizzare ciascuna materia prima destinandola a un prodotto con caratteristiche di pregio; i residui di quest'ultimo prodotto dovranno essere utilizzati per produzioni differenziate a un livello più basso e i residui di queste ultime utilizzati ancora per altre produzioni, sempre di minor pregio, e così via come in una cascata. In questo modo il ciclo di vita della materia prima viene notevolmente allungato, riducendo fortemente il livello medio di input per unità di prodotto, poiché lo stesso verrà ripartito nelle successive fasi. Anche i costi di smaltimento dei residui e i problemi di inquinamento verrebbero fortemente ridotti.
Con una razionale organizzazione dell'intera filiera, oltre alla riduzione dei costi, si avrebbero benefici sociali notevoli. Specificamente per la canapa un'applicazione del concetto di cascata è stata studiata da Fraanje (1997), sia relativamente alla porzione corticale che al canapulo. Si può pensare di utilizzare in sequenza: la parte fibrosa direttamente per usi tessili; i residui del tessile (stracci, ecc.) per l'industria della carta di buona qualità, anche in miscela con carta da riciclo; la carta può essere a sua volta riciclata per ottenere carte più grossolane e infine cartoni; questi ultimi infine possono essere lavorati per ottenere pannelli coibentanti, che potranno essere riciclati per fare materiali compositi e infine usati quali combustibile. Il ciclo vitale della materia prima può in tal modo essere allungato dai 2 anni, media attuale, a oltre 60.
Analogamente il canapulo può rientrare in cascata, oltre che in quella dei cartoni, anche nell'industria dei truciolati reimpiegati almeno 3 volte, con un ciclo vitale che può raggiungere fino a 75 anni. Ovviamente nel calcolo del ciclo di vita e dell'input medio si deve tener conto delle perdite di materia prima in ogni passaggio; in accordo con i principi della seconda legge della termodinamica, cresce infatti l'entropia del sistema.
Oltre che dalle destinazioni singole che possono essere considerate innovative o da una impostazione globale della filiera, lo sviluppo della canapa può essere favorito anche da prevedibili evoluzioni nel mercato tradizionale, propiziate dal miglioramento delle condizioni di vita in vasti areali del globo. Basterà ricordare, ad esempio, che la Cina, con una popolazione pari a 4 volte quella dell'Unione Europea, ha un consumo di carta pari a circa il 10% di quello di quest'ultima; già lo spostamento di qualche punto percentuale può rivoluzionare il mercato mondiale della cellulosa. Le prospettive per la canapa, così come per molte altre piante da fibra, possono risultare di grande interesse. Va ricordato infatti che, per ridurre i settori eccedentari dell'agricoltura, è più facile reimpostare gli ordinamenti colturali introducendo piante annuali, piuttosto che colture legnose con l'alea di cicli decennali.

Aspetti normativi
Per tutte le colture il criterio di scelta è molto spesso legato agli indirizzi di politica economica dell'Unione Europea che tendono a incentivare o disincentivare le produzioni in funzione delle esigenze di mercato sia interno che a livello mondiale nonché, sempre più negli ultimi tempi, dei fattori legati all'ambiente.
La possibilità di beneficiare o meno di adeguati premi comunitari è molto spesso il primo limite all'introduzione di una coltura. La canapa da fibra in questo non si discosta, né si differenzia, dalle altre colture.
Per la canapa però esiste in più il problema legato al contenuto in sostanze psicotrope (THC) e a tutte le norme connesse, sia a livello comunitario che nazionale, ma soprattutto alla loro incerta interpretazione in funzione della gamma di casistiche che si possono presentare. La circolare del dicembre 1997 del Mipa (*) è senza dubbio un primo passo per la chiarificazione del problema, ma non elimina completamente il rischio per il coltivatore di essere coinvolto in situazioni spiacevoli, salvo poi uscirne... con le scuse. Senza dubbio, prescindendo da possibili frodi, gli effetti dei fattori pedoclimatici e, soprattutto, la variabilità individuale relativamente al contenuto in THC, possono essere ulteriori fattori di rischio. E prevedibile che, con la diffusione della canapa, diminuirà l'alea di interpretazioni errate riguardanti situazioni corrette.
Negli aspetti normativi, infine, devono rientrare i contratti che regolano i rapporti fra la parte agricola e quella industriale, che è auspicabile siano molto chiari fin dal principio in modo da evitare contenziosi che potrebbero rendere difficile l'espansione della coltura.

Organizzazione della filiera
Si sta lentamente e gradualmente delineando. A una serie di convegni (Portomaggiore, Caserta, Carmagnola, Bentivoglio e Ascoli Piceno) realizzati quest'anno, si è aggiunta una molteplicità di incontri ufficiali e non e in varie forme si è manifestato un interesse vivissimo delle categorie agricole. Più contenuto è stato l'interesse dei possibili utilizzatori. Sembra mancare invece l'anello di congiunzione fra chi produce la materia prima e chi utilizzerà un semilavorato (fibra tessile, pasta da cellulosa, ecc.); la neonata Assocanapa potrebbe rappresentare tale anello.
Si tratta innanzi tutto di mettere a punto la normativa contrattuale, creare centri di raccolta e prima lavorazione, approntare un adeguato parco macchine per la raccolta, che ovviamente dovrà avere caratteristiche diverse a seconda della lavorazione del prodotto, curare il reperimento e la moltiplicazione del seme di varietà adatte alle specifiche condizioni di coltura e, soprattutto, esercitare una potente azione di "lobbing" a livello europeo, nazionale e regionale.
Come si vede si tratta di compiti molto ambiziosi non limitati alla costruzione degli anelli intermedi della filiera, ma anche allo sviluppo di quelli di partenza e arrivo. Non dovrà essere trascurata l'azione a livello internazionale, poiché prevedibili richieste di limitazione delle superfici destinate a canapa potrebbero far trovare il Paese impreparato rispetto a partner che, essendo partiti in anticipo su di noi, si sono già creati diritti per migliaia di ettari.
L'Assocanapa dovrà crearsi delle alleanze, senza dubbio attraverso collegamenti stretti con le associazioni agricole, ma anche con i gruppi ambientalisti che apprezzano la coltura sia per il basso impatto della fase produttiva che per le caratteristiche del prodotto ottenuto.

(Relazione presentata al Convegno "Terra di carta", 3-4 aprile 1998, Ascoli Piceno.)

Gianpietro Venturi
Maria Teresa Amaducci
Dipartimento di agronomia Università di Bologna
www.agrsci.unibo.it/agro/people/gventuri.html

(*) Circolare n. 734 del 2-12-97 (Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16-3-98) con la quale, tra l'altro, si autorizza la coltivazione della canapa da tiglio per la campagna 1998 su una superficie massima di 1.000 ha.

Renato Brugnola
Da L'INFORMATORE AGRARIO N. 1/99
www.informatoreagrario.it