Il progetto finalizzato canapa

Le problematiche relative alle vigenti norme antidroga possono considerarsi risolte con l'ottenimento di piante morfologicamente diverse. Rimangono ora da studiare gli aspetti relativi alla macerazione e agli utilizzi del prodotto (settore tessile e cartario)
Bruno Casarini

Pochi anni dopo la fine dell'ultima guerra, la canapa (che, in Italia, aveva per un lungo periodo occupato ogni anno più di 75.000 ettari dei migliori terreni di pianura) subiva una repentina crisi, fino quasi a scomparire dagli ordinamenti colturali verso gli anni 60. A ciò avevano contribuito varie motivazioni: in particolare, la pesantezza delle lavorazioni (ancora poco meccanizzate) e la produzione delle fibre sintetiche (ottenibili a bassi costi e utilizzabili per tessuti di bell'aspetto).
Verso la fine della prima metà di questo decennio, però, si è assistito, pressoché contemporaneamente in Italia e negli altri Paesi (soprattutto in Europa, ma anche in America), a un rinnovato interesse per questa coltura. Nell'ambito comunitario, in particolare, si cercava di incoraggiare un avvio e/o un allargamento di tale cannabinacea anche con premi di coltivazione. Il rinnovato interesse, nella generalità dei Paesi esteri, era testimoniato, d'altra parte, dalle molte di richieste delle cultivar italiane già note fin dal primo periodo postbellico. A ciò contribuivano soprattutto, da un lato la necessità di trovare nuove fonti di produzione di biomassa e, da un altro lato, anche il disincanto creatosi per l'uso delle fibre sintetiche (responsabili, tra l'altro, di fenomeni di allergia per l'uomo).
Pure l'allora Ministero dell'agricoltura si pose il problema di un rilancio della cannabinacea. Simile iniziativa trovava, comunque, una grave limitazione nel dpr n. 309 del 1990, che proibiva la coltivazione della Cannabis indica (dizione con cui si voleva significare, ovviamente, la canapa con elevati contenuti di D-9-tetraldrocannabinolo, adatta a fornire prodotti ad azione psicotropa). Di fatto, la mancanza di caratteri morfologicamente distintivi tra Cannabis indica (per droga) e Cannabis sativa (con bassi livelli di sostanze psicotrope) avrebbe comportato un lavoro di analisi chimiche impossibile per gli organi di polizia addetti all'attività di controlli antidroga. Il Ministero, constatate le difficoltà per un rilancio di questa coltura, incaricava l'Istituto sperimentale per le colture industriali di studiare i mezzi per il superamento delle difficoltà emerse e a tale scopo dava pronto avvio a un apposito Progetto di ricerca finalizzato, con i seguenti obiettivi:

Oggigiorno, alla distanza dei quattro anni dall'inizio del Progetto, l'attività di ricerca svolta non poteva fornire risultati migliori.
Nei primi due anni, il lavoro di mutagenesi forniva tipi di piante con aspetti fenotipici ben evidenti e stabili per tutto il ciclo di sviluppo della pianta, tali da poter essere facilmente riconosciuti dagli Organi di polizia addetti ai controlli nelle campagne.
All'inizio erano state isolate, nell'ambito del materiale trattato, una decina di tipi di piante egualmente meritevoli di essere portati avanti. Nel 1996 si individuavano due tipi di piante le cui mutazioni, dipendenti da variazioni intervenute nel DNA, venivano trasmesse alle progenie. In un caso, la pianta era caratterizzata da colorazione gialla della parte apicale del fusto, mentre la parte basale conservava una colorazione verde tipica delle piante di Cannabis: di mano in mano che la pianta formava nuove foglie apicali, quelle sottostanti viravano dal giallo al normale colore verde. Nell'altro caso, la pianta era caratterizzata da colorazione antocianica dei piccioli fogliari, mentre la lamina conservava una colorazione normale. Di fatto, simili mutazioni venivano considerate importanti in prospettiva di selezionare varietà di impiego pratico anche dal Servizio di polizia scientifica.
La preoccupazione attuale è che i due mutanti in discorso, brevettati per i loro caratteri morfologici, possano venire "rubati" e utilizzati per l'incrocio con tipi da droga. Per questo, si cerca di agire sul grado di ploidia, in modo da poter passare alla distribuzione di seme le cui progenie non possono essere moltiplicate.
La messa a punto di metodiche analitiche rapide, sopra indicata come secondo obiettivo, è stata ottenuta per via immunologica. L'ingrediente fondamentale di tali metodiche è l'anticorpo, di tipo policlonale oppure monoclonale. Al riguardo, si è teso alla realizzazione di due metodi: il primo, molto sensibile, che consente la stima del D-9-tetraidrocannabinolo in piante selezionate per bassi contenuti di cannabinoide; il secondo, meno preciso, da utilizzare in campagna ad uso soprattutto del personale di controllo antidroga.
Ora, sono rimasti da studiare in termini migliorativi e più risolutivi le tematiche relative alla macerazione, così come quelle relative all'ottenimento di prodotti utilizzabili competitivamente per la produzione tessile e per quella cartaria. Sono tutte tematiche su cui verrà riferito e discusso nelle note che seguiranno, consci che le problematiche esistenti appena quattro anni or sono, in merito alle possibilità di coltivare la canapa compatibilmente con le norme antidroga vigenti, sono ora risolte con piena sicurezza.

Bruno Casarini
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali
Bologna
www.inea.it/isci

Da L'INFORMATORE AGRARIO N. 26/98
www.informatoreagrario.it