SCELTA TRA VARIETÀ DIOICHE, MONOICHE O IBRIDE

Quale canapa per l'Italia?

La difficoltà di approvvigionamento del seme di canapa e la limitata scelta varietale, rappresentano un significativo ostacolo alla ripresa della canapicoltura in Italia
Gianpaolo Grassi

Nel 1970 in Italia erano ancora coltivati circa 36.000 ha di canapa, l'anno successivo ne furono investiti 400 ha e nel giro di 10 anni scomparve completamente. Solo nel 1998 si è ripreso a coltivare la canapa da fibra grazie al contributo Cee (circa 1.300.000 lire/ha) e ne sono stati seminati 255 ha (Fonte: Cee). Nel 1999 ne sono stati coltivati 180 ha, mentre nel 2000 sono stati poco più di 150 ha.
I problemi della potenziale canapicoltura italiana sono innumerevoli, ma quelli che hanno giocato un peso determinante sono stati e lo sono ancora: l'applicazione delle leggi che disciplinano gli stupefacenti, tra cui il dpr n. 309 del 9-10-1990; l'assenza, fino allo scorso anno, di utilizzatori riconosciuti e inclusi nell'elenco dei primi trasformatori della materia prima e infine, la mancanza di seme certificato di cultivar di canapa adatte al nostro ambiente di coltivazione. Il primo punto ha fatto temere molti agricoltori, anche se in regola con le disposizioni vigenti, di incorrere comunque in provvedimenti penali. In realtà, ci sono stati pochi sequestri che hanno coinvolto agricoltori in buona fede, per fortuna questi poi si sono risolti senza grossi problemi. Il secondo punto non ha consentito ai produttori di vendere in tempi brevi e a prezzi interessanti il loro raccolto. L'ultimo problema ha sicuramente ostacolato le scelte dei canapicoltori che anche nel 2000 sono stati costretti ad avviare le semine molto tardi rispetto all'epoca ottimale, utilizzando prevalentemente una cultivar ungherese (Kompolti), con inevitabili ripercussioni negative sulle rese della coltura. Pare si stiano prospettando le condizioni per rimuovere le difficoltà derivanti dai primi due problemi descritti, mentre, anche per quest'anno non si intravede una soluzione ottimale per quanto riguarda la disponibilità del seme e delle varietà più adatte.
Fino agli anni 70 nel nostro Paese si utilizzava quasi esclusivamente seme di canapa dioica, cioè costituita da piante a sessi separati. Le migliori varietà sono state derivate da ecotipi di origine emiliana da cui furono selezionate le attuali varietà Carmagnola, CS e Fibranova, tutte incluse nell'elenco delle cultivar di canapa ammesse a ottenere i contributi comunitari (regolamento Ce n 2860/2000, allegato XII, articolo 7 bis).
Nei Paesi in cui l'interesse per la canapa non si è mai interrotto, il miglioramento genetico è continuato in tutti questi anni e ha fatto sì che le cultivar di nuova introduzione fossero di tipo monoico, ibridi tra piante dioiche con monoiche e unisessuate. Sono di questo tipo le cultivar francesi, a loro volta migliorate anche dal punto di vista del contenuto di tetraidrocannabinolo (THC), la sostanza con attività psicotropa.
Nel 2001 è entrata in vigore la norma comunitaria (regolamento Ce numero 2860/2000) che stabilisce il nuovo limite massimo ammesso di THC. Si è passati dal precedente 0,3% allo 0,2% e probabilmente solo alcune varietà francesi dovrebbero rispettare stabilmente anche questo nuovo limite. Esse hanno potenzialità interessanti anche per l'Italia perché offrono una discreta scelta varietale e diversificate destinazioni produttive (seme, olio, olio essenziale, carta, fibra industriale, ecc.). La disponibilità di seme francese è però condizionata da contratti "capestro" che obbligano gli agricoltori ad anticipare il costo del seme e a impegnarsi all'acquisto per più anni. Le ragioni di queste richieste sono anche giustificate da esigenze di programmazione delle attività di moltiplicazione del seme, ma con le continue variazioni delle norme comunitarie è molto arduo poter programmare per più anni le superfici da destinare alla coltura della canapa.
Il nuovo regolamento Ce allegato XIII, articolo 7 ter, stabilisce fra l'altro che per ottenere il contributo è necessario verificare non prima del ventesimo giorno dall'inizio della fioritura ed entro il decimo giorno successivo alla fine, il contenuto del THC. In sede di Commissione tutti i Paesi membri, tranne l'Italia, hanno accettato senza particolari obiezioni questa condizione. Non è stato possibile far comprendere agli altri partner europei, in particolare ai francesi, che nel nostro Paese il rispetto di una simile condizione è estremamente penalizzante per la produzione di fibra di canapa di elevata qualità. Il problema sorge perché proprio nelle varietà dioiche il 50% delle piante (quelle maschili), nel momento di piena e fine fioritura, presenta la fibra già eccessivamente lignificata e perciò di qualità scadente. Potendo invece raccogliere prima di quest'epoca, tutte le piante avrebbero una buona e uniforme qualità della fibra e inoltre un contenuto di T'HC più basso rispetto ai momenti successivi. Nel nostro caso utilizzare unicamente varietà dioiche italiane, nel momento in cui saranno disponibili sufficienti quantità di semi, obbliga gli agricoltori a produrre canapa con una fibra di bassa qualità, per rispettare le regole, rischiando comunque di oltrepassare i limiti di THC. In alternativa si potrebbe utilizzare canapa monoica oppure unisessuata. In quest'ultimo caso tutte le piante saranno allo stesso stadio di maturazione al momento della raccolta.
Con il nuovo limite di THC tutte le cultivar dioiche (tra cui le tre italiane, fatta eccezione forse per la Carmagnola) non potranno probabilmente essere impiegate. Questo perché il loro contenuto medio di THC, anche se nel 2000 è risultato inferiore allo 0,2%, in alcune annate meno favorevoli può arrivare molto vicino allo 0,3%. Si sta procedendo con la selezione per abbassare ulteriormente il loro contenuto di THC, ma il processo richiede tempo.
Nel 1995 il Ministero per le politiche agricole e forestali ha finanziato un progetto di ricerca sulla canapa da fibra il quale, a causa della forte pressione di altri Ministeri impegnati nel controllo delle sostanze stupefacenti, era prevalentemente incentrato sulla selezione di varietà con caratteri morfologici che permettessero di distinguere visivamente la canapa tessile da quella da droga. A seguito delle ultime ricerche svolte dall'Istituto sperimentale per le colture industriali di Bologna sono state ottenute due nuove linee dioiche derivate dalla Fibranova, che sono caratterizzate da un colore giallo delle foglie apicali (yellow aper) e dal picciolo fogliare antocianico (red petiole). Queste due popolazioni sono state selezionate e presentano un contenuto di THC più basso rispetto alla varietà di origine e nel 2001 la seconda ha completato l'iter per l'inserimento nel Registro nazionale delle varietà.
Negli anni 60, uno dei più attivi ricercatori italiani impegnati nel miglioramento genetico della canapa, dr. D. Allavena, scriveva: "La canapa monoica apre dunque un nuovo interessante campo di ricerca ai selezionatori italiani". Dopo quasi quarant'anni, le prospettive di diffusione della canapa monoica in Italia sono ancora incerte e solo ora che il problema del THC sta per condizionare l'esistenza della canapa da fibra dovrebbe alimentare l'interesse verso questo tipo di canapa, perché risulta più agevole selezionare questo materiale per bassi livelli del cannabinoide. Due anni fa è stato avviato dal nostro Istituto un limitato programma di selezione di canapa monoica, fondamentalmente orientato a ottenere varietà a basso contenuto di THC. È stato recuperato un genotipo monoico di origine italiana che è stato reincrociato ripetutamente con la cultivar Carmagnola. Le caratteristiche interessanti di questo materiale sono di avere la fibra con l'eccellente qualità della pianta madre e l'espressione della monoicità influenzabile da trattamenti chimici o dal fotoperiodo. Pare prevedibile utilizzare questo materiale sia come varietà monoica sia come portaseme nella realizzazione di ibridi dioici o a loro volta monoici. L'anno scorso a Bologna la cv Carmagnola aveva un contenuto medio di THC pari allo 0,18%, mentre l'incrocio monoico era attorno allo 0,06%.
Qualunque sia l'orientamento del miglioramento genetico della canapa è necessario tenere attentamente presente le regole che l'Ue fissa. Per il momento non si può non farlo, perché la coltivazione della canapa può continuare solo grazie ai contributi e questo lo hanno capito bene i nostri vicini spagnoli che nel 1998 hanno coltivato circa 19.000 ha. Purtroppo, finché non si attiverà una filiera completa per l'utilizzazione dei prodotti della canapa, che per l'Italia si vorrebbe fosse principalmente quella della fibra tessile, la convenienza economica della coltivazione della canapa dipenderà unicamente dai contributi e, finiti questi, non potrà continuare a sostenersi solo grazie alla grande passione di alcuni attivi operatori agricoli (Assocanapa) Quando l'intera filiera della canapa tessile sarà completata si potrà pensare di coltivare questa pianta con il prevalente obiettivo della produzione di fibra di elevata qualità. Fino a quel giorno dobbiamo fare i conti con le regole europee e impiegare le strategie e i mezzi che ci consentono di rispettare queste norme. Con il recentissimo passaggio della canapa tessile dal regime che prevedeva un contributo interessante (regolamento Cee n. 1164/89) al nuovo regolamento Ce n. 1672/2000, che riguarda le condizioni di concessione dei pagamenti compensativi a favore di taluni seminativi il contributo si è circa dimezzato. E' stato però concesso un contributo al primo trasformatore (90 euro/t), in modo da incentivare l'effettiva trasformazione del prodotto. Sono state anche contingentate le produzioni nazionali garantite (regolamento Ce n. 1673/2000 articolo 3), e sulla base della media delle produzioni registrate negli ultimi cinque armi, all'Italia sono state concesse 5.000 t di fibra, da dividere con Danimarca, Grecia, Irlanda e Lussemburgo. La produzione media per ettaro di fibra in Italia sarà certamente inferiore a 1 t, di conseguenza per il nostro Paese le superfici garantite con il contributo saranno sufficienti per i prossimi anni.
In conclusione, l'appello finale è rivolto a chi, in primo luogo ha la possibilità di influenzare le decisioni e gli orientamenti delle forze impegnate nel settore tessile. Le componenti industriali, del comparto sementiero, tessile e meccanico dovrebbero fare la loro parte e impegnarsi a stimolare e sostenere il grosso sforzo necessario al completamento della filiera della canapa che è principalmente carente nel tratto che va dal prodotto raccolto, al filo da lavorare nelle nostre numerose aziende tessili. In secondo luogo ci si augura di poter continuare a disporre delle necessarie risorse per la selezione di nuove varietà di canapa che dovranno obbligatoriamente essere studiate nel nostro Paese, perché questa pianta è estremamente condizionata dall'ambiente in cui è coltivata.
Altri Paesi mediterranei possono costituire mercati molto interessanti per la commercializzazione del seme italiano. Se negli ultimi due anni le aziende sementiere avessero potuto e voluto moltiplicare le nostre cultivar dioiche, la gran parte dei 19.000 ha di canapa coltivati in Spagna sarebbero stati seminati con seme italiano, il cui prezzo mediamente arrivava alle 8.000-9.000 lire/kg. Personalmente ho ricevuto richieste di seme per un quantitativo pari ad alcune decine di quintali. Quando in Italia si arrivava a coltivare anche 100.000 ha di canapa, la produzione di seme era vicino alle 4.000 t, con la maggior parte destinata a semente, questo perché la produzione italiana era, e potrebbe continuare a essere, la migliore d'Europa.

Gianpaolo Grassi
Istituto sperimentale per le colture industriali - Bologna
E-mail: ggrassi@bo.nettuno.it