LA COLTIVAZIONE DELLA CANAPA NEL FERRARESE

UN IMMAGINE VALE PIU' DI MILLE RACCONTI


Coltivazione della canapa


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CANAPA FASI O PASSAGGI ORDINARI PER GUADAGNARE LA FINITURA DEL PRODOTTO

01. concimazione del terreno possibilmente con sostanze organiche;

02. aratura abbastanza profonda;

03. la semina si praticava a cavallo dell'ultima decade del mese di marzo;

04. quando i virgulti facevano filare, il terreno veniva sarchiato con la zappa per togliere le italo erbe;

05. il taglio avveniva nella prima decade di agosto. Era fatto a nano con uno strumento di piccole dimensioni che aveva somiglianze con la falce fienaia. Il contadino si copriva più che poteva con vestiti vecchi e rattoppati per difendersi dalla infiorescenza che cadeva al primo urto, producendo un molesto prurito. La calura estiva, unitamente alla eccezionale altezza dei fusti, creavano notevoli, intuibili problemi; raggiunta l'essiccazione, le piante venivano sbattute diverse volte per liberarle dalle foglie e rimanente infiorescenza;

06. le canne pulite erano raccolte, ottenendo una figura conica cinturata con lunghe piante di canapa, per proteggerle dal vento;

07. passaggio che consisteva di collocare il prodotto su un cavallo di legno: semplice ma efficace strumento di lavoro costruito dall'operatore;

08. battuto il piede delle canne con una tavoletta di legno munita di manico per pareggiarle, iniziava la tiratura delle bacchette più lunghe, afferrandole per le cime;

09. i fusti, aventi la stessa lunghezza, venivano confezionati in mannelle legate alle due estremità con pianticelle di canapa precedentemente messe a mollo per renderle flessibili ed idonee all'uso;

10. esaurita la tiratura, ritornavano a formare, sempre sul canapaio, il covone con un aspetto più ordinato;

11. un successivo passaggio, che entrava nella normalità dell'opera era il taglio della cima legnosa e ricca di rametti, che il contadino raccoglieva minutamente perché consapevole quanto era prezioso il materiale raccolto da bruciare nel camino di casa sua o scaldare il forno per cuocere il pane;

12. le mannelle decapitate componevano un fascio, la cui lunghezza si aggirava sui tre metri ed il diametro dai 60 - 70 centimetri. Il contadino, collaudato nell'annuale lavoro, aveva raggiunto una ragguardevole capacità nel disporre le mannelle per ottenere un cilindro abbastanza perfetto. Il fascio veniva legato con rami di salice di vimini, i cui requisiti naturali garantivano resistenza al sole e durata nell'acqua;

13. uomini robusti, allenati ai lavori pesanti, li caricavano sul carro per trasportarli al macero;

14. qui venivano scaricati e depositati in prossimità della vasca per la "cotta"; rotolati sino all'acqua galleggiavano come una zattera e quindi spostati senza alcun dispendio di energie. occorreva, però, unirli con una grossa fune, formndo un piano compatto e sufficientemente sicuro sul quale i contadini ponevano un'altra nano di fasci. Fra la prima mano e la seconda venivano messe diverse mannelle in senso latitudinale, la cui funzione era di legamento. La zattera, chiamata in vernacolo locale "masarà" era completata;

15. per iniziare un uniforme processo di macerazione o cotta, il galleggiante veni- va sommerso caricandolo di sassi, più o meno sferici e lisci o di trachite ruvido e spigoloso, che ancora si possono trovare in prossimità dei maceri;

16. dopo circa una settimana di immersione, in relazione alla temperatura dell'acqua, ricca o povera di organismi che provocavano il fenomeno di macerazione, iniziava un'altra pesante operazione. I sassi venivano levati e lanciati sulla sommità pianeggiante della sponda. Ciò si svolgeva, grazie ad una catena di uomini e donne che affrontavano un passamano pesante e non meno pericoloso per la viscidità dei sassi che causavano insufficiente presa delle mani.

17. scendevano, allora, in acqua sino alla cintola alcune persone, il cui compito era di sfasciare il fascio, prendere una mannella per volta, sbatterla nell'acqua rigirandola. Le mannelle bianche e pesanti perché intrise di acqua, venivano lanciate con uno sforzo sovrumano sulla riva.
L'acqua, usata per diverse "cotte" e mossa dallo sbattimento, diffondeva un odore sgradevole e penetrante. Era letteralmente coperta da una schiuma puzzolente sulla quale si erano "imbarcati" sciami di insetti festosi per l'ondeggiare delle impurità e per aver trovato il loro habitat naturale;

18. le mannelle, appena uscite dal macero, venivano caricate su un mezzo trainato da una mucca o cavallo, spesso su una sgangherata carriola spinta sino a raggiungere un campo, non sempre vicino, per essere drizzate ed aperte a cerchio e quindi fatte asciugare;

19. una volta essiccate, confezionavano piccoli mazzi bianchi e leggeri;

20. si prendevano ancora in mano per caricarli sul carro e scaricarli poi nel cortile della fattoria;

21. le necessità economiche, la pazienza, la costanza e tante altre virtù del contadino destavano ammirazione in questi lavori biblici che non avevano mai fine.
La canapa veniva accatastata in attesa della stigliatrice o scavezzatrice, macchina che frantumava gli steli per facilitarne la separazione. Era una fase che impegnava tante persone;

22. il prodotto scavezzato veniva ammucchiato in un covone avente la forma di una casa a due spioventi. Era ben curata la protezione del tetto con materiale di fortuna, affinché l'acqua piovana non potesse infiltrarsi e danneggiare le fibre;

23. da questo passaggio iniziava la gramolatura delle mannelle. La gramola era uno strumento semplice , manuale ,efficace, che maciullava gli stecchi trattenuti dai filamenti della canapa. Era una operazione eseguita con tanta scrupolosa attenzione, affinché non rimanesse nel tiglio neanche un pezzetto di legno, che avrebbe deprezzato la merce;

24. le mannelle pulite venivano provvisoriamente unite in fagotti, alquanto leggeri, portati in magazzino;

25. ultimata la gramolatura, iniziava finalmente una delle ultime fatiche: ritornavano i fagotti sull'aia;

26. il prodotto subiva un definitivo controllo e selezione a seconda della lunghezza, bianchezza, lucentezza e morbidezza;

27. le mannelle attorcigliate nell'ultima parte del piede con bravura ed estro, assumevano l'aspetto grazioso di un bambolotto ben pettinato e adornato da uno strascico lucente, purtroppo nascosto nella confezione;

28. la nuova composizione, sempre in dialetto locale, veniva chiamata "mazza". Era l'insieme di una certa quantità di mannelle, che formavano grossolanamente un parallelepipedo. Ritornavano in magazzino in attesa del compratore;

29. l'arrivo del negoziante e la relativa contrattazione di vendita siglavano un momento tanto atteso;

30. il caricamento della "sudata" merce sul mezzo di trasporto, festeggiava l'ultima fatica.


Gaiba, 29/03/2000


NOTA: l'inclemenza del tempo costringeva il contadino a ripetere una o più volte il lavoro riportato nei nn.m 5 e 20. Non è stato riportato il lavoro inerente gli "stecchi" da bruciare, la stoppa prodotta durante la gramolatura, la raccolta del seme di canapa per l'anno successivo ed i canapacci macerati nell'ultima decade di ottobre.