Storia della canapa a lieto fine?

La canapicoltura fra tradizione, leggi antidroga e mercato.


La canapa fu coltivata fin dal settimo secolo a. C., quando fu introdotta dalle popolazioni nomadi sciite che la portarono nel sud della Russia. Da qui si propagò in tutta l'Europa centro settentrionale, in Asia Minore, Grecia, Italia, Francia. Enormemente produttiva, se ne ricava una fibra per corde, per imbarcazioni, per pannelli isolanti, per tessuti, per impianti idrici, cellulosa per la carta, semi per l'alimentazione dei volatili. Per uso industriale dai semi si ricava un olio a scopo cosmetico, per fare colori, saponi, lubrificanti e carburanti e in altre epoche della nostra storia anche per fare zuppe. Columella, naturalista del II secolo, mette i semi di canapa tra i legumi pregiati, insieme a lenticchie, ceci, fagioli, dando istruzioni sulle modalita´ di coltivazione: "in ogni piede quadrato si metteranno sei granelli del suo seme, al levar di Arturo, cioé alla fine di febbraio..".
L'importanza di questa pianta era tale che Carlo Magno, nell'anno 800, emanò una legge che obbligava tutti i contadini del suo impero a coltivarla. Bartolomeo Platina – che come tutti i medici erboristi di allora, trascrisse più o meno fedelmente ciò che prima di lui avevano scritto i greci (Dioscoride e altri) e i latini (Plinio e altri) e cioè che i semi di canapa se consumati in gran quantità facevano venire il mal di testa – nella seconda metà del Quattrocento, così scrisse a proposito dell'uso alimentare dei semi di canapa: "Pestato, il seme della canapa si usa per qualche vivanda, ma ne deriva grave danno alla testa, allo stomaco e a tutto il corpo". Un invito alla prudenza, preso troppo sul serio, si tradusse in un tabù alimentare che decretò l'uscita di scena di un seme che per secoli aveva sfamato, senza inconvenienti, tanti contadini.
Quest'avvertimento nel secolo successivo verrà rafforzato anche dal medico senese Andrea Mattioli e il gualdese Castore Durante, che nel suo erbario così si espresse in proposito: "Mangiasi il seme della canapa come i legumi, ma offende lo stomaco ed estingue il seme genitale". Bizzarria della conoscenza di allora, ciò che era dannoso per l'uomo aveva però effetto diametralmente opposto sugli animali da cortile: "Il seme mangiato dalle galline moltiplica l'ova". Fatto è che nel Settecento l'uso alimentare dei semi di canapa si era gi" drasticamente ridotto e si consigliava di utilizzarli quali alimenti per gli uccelli, per estrarre olio da bruciare, per ungere la lana e, ridotti in polvere, per fare saponi delicati.
Ai giorni nostri, grazie ai progressi della scienza, con i principi attivi della canapa vengono curate malattie congenite, cancro, AIDS, enfisemi polmonari, sclerosi multipla, epilessia, glaucoma ed altro ancora. Lo stesso ente americano che combatte il traffico di droga, la DEA, ha dichiarato che le sostanze attive contenute nella canapa sono tra le più farmacologicamente sicure. Anche le informazioni sui componenti nutrizionali dei semi di canapa sono altrettanto interessanti: ricchezza di proteine, grassi, carboidrati e fibre. I grassi contengono, in buona combinazione equilibrata, acido linoleico, linolenico, oleico che, oltre a rafforzare il sistema immunitario, tengono sotto controllo il colesterolo, e la presenza dell'acido gamma linoleico lo rende prezioso anche per le malattie della pelle. A parità di superficie, infine, la canapa è la pianta che produce più proteine di tutte le altre colture e basta una manciata di semi per soddisfare il fabbisogno proteico di un adulto.

IL DANNO..
I suoi pregi agronomici erano ben conosciuti dai nostri contadini che la utilizzavano per tenere sotto controllo le erbe infestanti. Dello stesso parere sono oggi i più accreditati esperti della fertilità del suolo: "..la canapa deve essere considerata una coltura da avvicendamento di grande interesse per le sue rese (ove vengano utilizzate varietà ad alta resa come quelle italiane) e per il potere rinettante che, consentendo di evitare l'uso massiccio di "fumigazioni" o altre tecniche di disinfestazione, riduce il costo delle coltivazioni che con essa vengono avvicendate.." (Venturi, Zucconi e altri). E ancora: "È urgente contrastare il drammatico impoverimento dei suoli (la cosiddetta "desertificazione") che ormai interessa la maggior parte delle aree del nostro paese e procedere al recupero graduale dei terreni degradati dalla monocoltura". Con l'abbandono della coltivazione della canapa è venuto meno anche l'insieme di valori e conoscenze necessarie alla sua produzione, trasformazione e vendita, dove entravano in scena altri soggetti umani, diversi dai contadini, che ne valutavano le qualità informandosi da quali terreni provenisse, se forti, compatti, sciolti a sabbiosi. Guardavano il colore, ne provavano la forza rompendo qualche tiglio con le mani e si accertavano che non fosse né molle né umida perché in magazzino sarebbe poi andata a male. Verificavano anche che l'interno del mazzo non celasse qualche tentativo di frode nascondendo fibre di minor pregio. Sapevano che la "perfezione della canapa", quella che serviva per confezionare "belle tele" dipendeva dalla "natura delle terre, dov'è stata seminata, dall'abbondanza dei governi, dalla molteplicità dei lavori, dalla quantità e qualità del seme, dal tempo della semina, dalla raccolta e dal modo di macerarla". Tra i contadini e i commercianti di canapa c'era uno scambio continuo di conoscenze e informazioni relative a tutte le fasi di produzione: la canapa maschio - la cui maturazione ed estirpazione avvenivano qualche settimana prima della canapa che porta il seme - forniva un filato più fine e veniva considerata comunemente come femmina; la canapa da seme (femmina) era denominata invece come maschio. Il metodo dell'estirpazione non era adottato ovunque e spesso la canapa veniva tagliata con la roncola o la falce (Cfr. Il lavoro dei contadini, ed. Longanesi Milano 1974).
Le capsule con dentro il seme venivano strappate e tirate a mano, oppure battute su ripiano rigido, mentre per utilizzare i fasci di fibre, occorreva la macerazione in acqua, che dissolveva le sostanze peptiche. Questa operazione si poteva effettuare in due modi: in acqua, appunto, e sull'erba alla rugiada. Nel primo caso si immergevano i fasci in acqua stagnante o corrente zavorrandoli per farli rimanere sommersi; nel secondo caso i fasci venivano sciolti e gli steli di canapa stesi in lunghe file o in cerchio esposti all'effetto alternato di rugiada, pioggia e sole, per alcune settimane o per mesi fino all'approssimarsi dell'inverno.
L'esposizione alla rugiada era praticata soprattutto nella Alpi lombarde e venete, e in una ristretta area al confine tra Umbria ed Abruzzo (Norcia, Leonessa ed Amatrice). A macerazione ultimata si scaricavano le pietre dalle zattere, si slegavano i fasci e i mannelli e dopo risciacquatura, esposti ad asciugare – o al sole – o all'aria, oppure al fuoco. All'aria i fasci tolti dalle fosse venivano ammucchiati in covoni (il lessico dialettale delle varie fasi di lavorazione è molto espressivo e colorito) restando ad asciugare sul campo per diverse settimane.
L'essiccazione al fuoco, tipica della Germania, si effettuava solo all'estremo confine nord orientale delle Dolomiti e alcune località dell'Italia centrale. Un sistema arcaico contemplava la costruzione di una fossa rettangolare in muratura sul prato, ricoperta con una griglia di listelli di legno, sui quali si stendeva la canapa rivoltandola continuamente; nella donne, disposte in circolo, buca si accendeva un piccolo fuoco sufficiente per riscaldare i fusti senza bruciarli. Un uomo badava al fuoco mentre le lavoravano la canapa ancora calda. Ancora nel 1921, a Cortina, è stato segnalato (Cfr. Longanesi, op. cit.) l'ultimo forno da "gramorà": al posto della fossa era stata costruita, a opportuna distanza dall'abitato, un'apposita capsula che serviva allo stesso scopo. La parte posteriore era costruita come il forno da pane e allo stesso modo veniva riscaldato e pulito, poi si introducevano i mannelli sciolti di canapa, si chiudeva lo sportello a tenuta d'aria, e si lasciava dentro la canapa per alcune ore. Dopo il tramonto donne e ragazzi si radunavano nella stanza per la gramolatura – che sostituiva, nelle Alpi e nell'Italia meridionale, la scavezzatura e la stigliatura – in comune, le prime per lavorare fino a notte fonda, i secondi per tenere loro compagnia in modo che il tempo, tra uno scherzo e l'altro, passasse piacevolmente. Era compito delle donne eseguire i lavori per la trasformazione della canapa, e solo la pettinatura era affidata a professionisti, abili a non danneggiare le fibre. Solo nei Grigioni, dove per i contadini essere autosufficienti è ancora tradizione (Cfr. Longanesi, op. cit.), la pettinatura era eseguita dalle donne. Compito maschile era riempire e svuotare le fosse di macerazione, per ovvi motivi di forza fisica. In altre zone (Valle d'Aosta) la stessa atmosfera di festa si creava durante le fasi di scavezzamento e battitura per la separazione delle fibre (tiglio) dalle parti legnose dello stelo. Si prendeva uno stelo dopo l'altro rompendoli a mano con abile strappo, all'estremità delle radici liberandone le fibre, che si facevano passare, senza romperle, attraverso il dito piegato di una mano. ("La lavorazione a macchina incide sulla qualità della filaccia – più ruvida, meno lucida – e sulla sua relativa quantità – più stoppa, minor rendimento quindi in tiglio lungo -, ma il lavoro procede rapido.." da Il manuale dell'agronomo V ed.). Anche oltre confine, in Svizzera e in Francia, la scavezzatura era molto diffusa, mentre a Norcia (PG) la si praticava solo per la canapa migliore. La separazione delle fibre dal parenchima corticale si otteneva anche con la stigliatura, più rapida della scavezzatura e veniva effettuata battendo i mannelli di canapa con uno strumento apposito. In Piemonte, dopo la stigliatura i fasci di canapa venivano stesi a strati sul fondo della pesta e schiacciati per diverse ore con una macina rotante. Quest'attrezzo, che sostituì il più arcaico mulino a pestelli, funzionava con lo stesso principio de frantoio per le olive, e poteva essere usato anche per le noci, le nocciole e il gesso. Le ultime operazioni consistevano nella pulitura della filaccia e nella pettinatura che toglieva le ultime impurità dalle fibre divideva a metà quelle eventualmente rimaste troppo grosse. Quest'ultima operazione veniva eseguita ovunque nella stessa maniera.
Per conservare la memoria di questa straordinaria esperienza umana, sono sorte varie iniziative, per lo più nel contesto dei Musei della Civiltà Contadina, relative alla tessitura e alla filatura della canapa con corsi serali per trasmettere tecniche e segreti artigianali, diversamente destinati all'oblio.

..E LA BEFFA
Per secoli l'Italia – con le produzioni del Piemonte, dell'Emilia Romagna, delle Marche e della Campania in prima fila – è stata la maggior produttrice di canapa, e ancora nel primo '900, insieme alla Russia, forniva l'80% del mercato e nel '52 aveva ancora il primato dell'esportazione. I tessuti da noi prodotti erano considerati i migliori. A guerra finita il Consorzio Nazionale Canapa, sorto durante il fascismo per esigenze autarchiche, non pensò al miglioramento della produzione né a meccanizzare le varie fasi di lavorazione che avrebbero ridotto la fatica umana non più sopportabile dai nostri contadini, che polarizzarono i loro interessi su altre colture e sui tessuti di tipo industriale: rayon, naylon e cotone. Tra le varietà di canapa allora più coltivate ricordiamo la varietà "Carmagnola" e le popolazioni derivate, quali la "Bolognese", la "Nostrana", la "Napoletana". In Campania si coltivavano anche varietà di canapa turca.
Il rifiuto delle faticose tecniche di macerazione, unitamente allo sviluppo dell'industria delle fibre sintetiche, all'aumento del costo del lavoro, ma soprattutto all'applicazione dell'art. 26 del D.L.gs 309/90 (Legge antidroga Jervolino-Vassalli), hanno decretato la fine della canapicoltura in Italia. L'ingiusto decreto non ci ha evitato la pioggia di droga, ma ci ha impedito di fruire per molti anni dei fondi CEE (Regolamento 1308/70, rinnovato – Reg. 624/97 – da Franz Fischler, che prevede un contributo di un milione e 414.500 lire per l'ettaro) previsti per la coltivazione della canapa da fibra, per uso industriale. In realtà non è stato tanto il Decreto (il divieto – anche in sede Comunitaria – è per la "Cannabis indica" con alto contenuto del principio attivo THC – tetraidrocannabinolo – con proprietà psicoattive e non per la "Canapa sativa" da fibra), quanto la difficoltà degli organismi di controllo di distinguere morfologicamente le due varietà, e per anni hanno trovato legittimo sequestrare, sanzionare e incriminare non solo che era e chi è colpevole di reato, ma anche gli agricoltori che, magari a loro spese, hanno riprodotto con pazienza ed abnegazione le vecchie varietà, come nel caso degli agricoltori di Carmagnola (To), le cui sementi sono ancora sotto sequestro. E pensare che le nostre sementi erano considerate le migliori dagli agronomi e dai tecnici del settore. Secondo l'Assocanapa (Coordinamento nazionale per la Canapicoltura – Carmagnola) le nostre varietà sono le uniche che si possono coltivare proficuamente in Italia perché hanno una resa superiore al 60%, rispetto alle altre varietà. L'applicazione della normativa antidroga, oltre all'enorme danno economico fatto subire al settore agricolo per non aver fruito dei fondi CEE, ha anche scoraggiato la ricerca che in varie Università italiane stava dando buoni risultati con la selezione delle varietà di canapa denominate Electa Campana, Super Fibra e Fibranova. Il rispetto delle normative vigenti però ha costretto a cedere i semi ai più lungimiranti francesi i quali avrebbero individuato un gene inibitore del principio attivo THC. E così che la maggior parte delle varietà italiane dei semi di canapa si sarebbero perse per sempre con danni incalcolabili al nostro patrimonio genetico. Per più di un decennio i francesi sono stati gli unici produttori di canapa in Europa gestendo, a proprio uso e consumo, tutta la politica comunitaria dei sussidi. L'Istituto Sperimentale per colture Industriali del Miraaf conserva, in linea pura, piccole quantità di Carmagnola e Fibranova, già in possesso del disciolto Consorzio Nazionale Canapa. Ma è un fatto che le sementi di canapa oggi reperibili sul mercato sono tutte "Made in France", con un contenuto di THC inferiore allo 0,3% con rese molto al di sotto delle varietà italiane.
Anche se per il nostro paese il quadro non è idilliaco, non tutti sono inattivi: un Istituto Sperimentale del Miraaf sta studiando come indurre mutazioni morfologiche al fine di rendere riconoscibile la canapa tessile da quella "Indica", onde evitare altri sequestri.
L'Associazione Italiana Agricoltori Biologici della Toscana ha un progetto relativo alla coltivazione della canapa per l'industria tessile di Prato e per le cartiere. Tra i tanti pregi di questa pianta ha anche quello di essere estremamente adattabile e di crescere anche in terreni contaminati da pesticidi e diserbanti; può essere coltivata anche vicino ai centri urbani con problemi di inquinamento industriale e lungo le autostrade. C'è un progetto agro industriale dell'AgriKenaf Volturno, che prevede la messa a punto nell'alto casertano, di un impianto (in fase di realizzazione) per la sfibratura e successiva trasformazione degli steli in Kenaf, canapa e altre piante da fibra di interesse industriale, tramite un processo a secco. È il primo impianto del genere in Europa e per ora sono interessati 500 ettari di kenaf e 200 di canapa. Per far comprendere all'opinione pubblica l'importanza storica, ecologica ed economica di questa risorsa e la necessità di allinearci in tempi brevi alle normative comunitarie, sono sorte diverse associazioni – riunite nel Comitato Promozione Canapicoltura (CPC) – che organizzano convegni, ricerche, conferenze a scopo didattico-informativo su tutto il territorio nazionale, che ringraziamo per le informazioni che ci hanno fornito.
A livello politico sono due le proposte di legge: la prima dei senatori Mazzucca-Poggiolini – Manconi, presentata nel febbraio '97, non ancora esaminata dalla Commissione Agricoltura; la seconda di alcuni Deputati che deve essere ancora assegnata all'esame delle Commissioni. Entrambe le leggi hanno come obiettivo il ripristino legale della coltivazione della canapa da fibra.

Graziella Picchi
Da MEDITERRANEO - estate 1999