La rivincita della canapa

di Marcello Volpato

Per la canapa, nel nostro Paese, arriva il momento della riscossa. E quasi pronto il primo impianto italiano di trasformazione, l’anello mancante per far ripartire anche da noi la coltura di una pianta dai mille usi, che fa bene all’ambiente e che non richiede pesticidi e fertilizzanti. Nella prossima primavera inoltre le timide coltivazioni sperimentali lasceranno il posto alla lavorazione industriale che comincerà nel 2002 all’interno dell’impianto previsto nella bassa ferrarese. Va registrato poi il cambio di marcia dell’Unione europea, che ha finalmente rivisto il regolamento comunitario ritoccando verso l’alto i tetti produttivi italiani e rendendo in questo modo sostenibile la realizzazione dell’impianto di trasformazione. Da sottolineare infine il successo sempre più largo che i prodotti in canapa stanno ottenendo sul mercato: su tutti, perché più famoso, va ricordato quello di Giorgio Armani, che ha già distribuito a negozi e boutiques sparsi in tutto il mondo, l’intera collezione primavera estate 2000 della linea Armani Jeans, gran parte della quale realizzata con fibre naturali, dal lino al cotone naturale fino, appunto, alla canapa.

Se un colosso come Armani riesce a fare breccia, probabilmente molte altre realtà industriali seguiranno l’esempio. La presenza di canapa nei capi di Armani ha fatto passi da gigante, anche perché lo richiede il mercato: “I consumatori chiedono sempre più fibre naturali - dice Claudio Botta, dirigente di Armani e presidente di Canapaitalia, il consorzio di imprese che stanno scommettendo sul rilancio della fibra nel nostro Paese - Nei primi mesi del ‘99 le importazioni di lino sono aumentate dell’89%. È’ difficile tornare indietro quando hai provato il meglio. Canapa e lino non sono più una moda passeggera ma un fenomeno che tende a consolidarsi, come i consumi di prodotti biologici”. Nella linea Armani Jeans oggi il 30% dei tessuti utilizzati sono ricavati da fibre vegetali, come il lino o il cotone naturale, di cui il 9% è. costituito dalla canapa. Un balzo di 8 punti percentuali rispetto all’1% dell’anno scorso. “Nella collezione 2000 i metri di tessuto in canapa utilizzati per la linea Armani Jeans sono stati 15mila, nel 2001 90mila” dice ancora Botta.

Il mercato insomma è pronto. Ora rimane solo da mettere a punto un meccanismo che permetta di riavviare la coltura in Italia e di incidere positivamente sulla bilancia commerciale: un rilancio della canapa farebbe bene non solo ai terreni stressati da pesticidi e fertilizzanti, ma chiuderebbe il ciclo del made in Italy, “dalla terra al prodotto finito”, riducendo le importazioni.

La collezione Armani Jeans è stata realizzata in gran parte con fibre importate dai paesi esteri, dove il mercato della canapa è più consolidato. In minima parte però sono state utilizzate fibre ricavate da colture sperimentali italiane. Un test importante per mettete a punto la resa, che è stata variabile: dalle 4 alle 9 tonnellate per ettaro coltivato. Il raccolto italiano è stato trattato negli impianti Stylfil di Pordenone. “La prossima primavera faremo il salto - continua Botta - estendendo le colture per fornire tutto il materiale necessario a testare a pieno regime l’impianto italiano di trasformazione”.

L’estensione delle colture sarà resa possibile dal provvedimento approvato dall’Unione europea nel luglio scorso, di cui si attende ora il regolamento attuativo. Per l’Italia si tratta di un risultato importante, frutto di una lunga trattativa che ha visto impegnati l’ex ministro alle Politiche agricole Paolo de Castro (ora consigliere per l’agricoltura del presidente della Commissione Ue, Romano Prodi) e il suo successore Alfonso Pecoraro Scanio. Una lunga trattativa, indispensabile per convincere l’Unione europea che in Italia la filiera della canapa è un progetto possibile, un mercato dalle potenzialità interessanti. Certo, negli ultimi anni la produzione è praticamente sparita in seguito al boom del sintetico e alle leggi antiproibizioniste italiane: la Cossiga e la Jervolino-Vassalli. Oggi però la musica è cambiata, le intenzioni del mondo agricolo e industriale italiano sono chiare e puntano al rilancio. Anche se l’Unione europea, prima di modificare gli equilibri del mercato comune che vedono la netta predominanza di paesi come Francia e Germania, ha voluto pensarci un po’. “Se fosse rimasto il limite delle 100 tonnellate l’ Italia non sarebbe riuscita a rimettere in moto la filiera della canapa” ricorda Marilena Zaccarini, segretaria del consorzio Canapaitalia. Oggi, con i tetti abbondantemente ritoccati (si potrebbe arrivare a più di mille tonnellate, ma bisogna attendere il regolamento attuativo) è invece possibile lavorare con più tranquillità all’impianto di stigliatura e pettinatura per fornire alle industrie tessili il semilavorato. L’impianto, come si diceva, sorgerà nella bassa ferrarese, costerà una ventina di miliardi circa e a regime impiegherà una cinquantina di addetti. “Dovremo recuperare il terreno perduto rispetto a realtà con tecnologie più avanzate - dice ancora Zaccarini - Per questo dovremo contenere i costi per essere un po’ più competitivi rispetto agli altri. Auspichiamo che per l’impianto sia possibile ricorrere a dei contributi, a dei finanziamenti che sostengano lo sforzo dei privati: la regione Emilia Romagna e la provincia di Ferrara ci stanno pensando. Speriamo possa contribuire in parte anche il ministero delle Politiche agricole”. Ultima annotazione. Nonostante una recente circolare del ministero dell’Interno, che informa dell’esistenza di campi coltivati con la canapa per usi tessili, quindi con contenuti di Thc (tetraidrocannabinolo, la sostanza stupefacente) al di sotto dello 0,2% così come prevede la Ue, ancora oggi c’è il rischio che il campo venga distrutto da parte delle forze dell’ordine. Per dare più tranquillità agli agricoltori, il ministro Pecoraro Scanio sta studiando un provvedimento che permetterà di sgombrate il campo dalle interpretazioni più restrittive della legge Jervolino-Vassalli. Una misura necessaria per dare certezze agli agricoltori che cominceranno la semina nella prossima primavera. Soprattutto in Emilia Romagna, per soddisfare le richieste del futuro impianto di trasformazione, gli ettari coltivati passeranno da qualche decina a qualche centinaia. Staremo a vedere. E comunque, se tutto filerà liscio, se gli sforzi finora messi in campo riusciranno a far centrare il bersaglio, in Italia si apriranno tante opportunità industriali più sostenibili, non solo per il tessile ma anche per la filiera della carta, del legno e della cosmesi.

LA NUOVA ECOLOGIA Dicembre 2000